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Quirinale? Occhio a Renzi e al Misto. Panarari tra peones e leader in crisi

Il docente dell’università Mercatorum: “Il gruppone misto che, in questi anni, si è dilatato a dismisura è una variabile che contribuisce a creare ancora più incertezza sulla designazione del successore di Sergio Mattarella”. E su Salvini: “Vuole mantenere lo status quo per recuperare consensi”

Sos leadership. Dopo il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, anche il leader della Lega ‘blinda’ Mario Draghi a palazzo Chigi. “Se resta lo stato di emergenza – ha detto Salvini – deve rimanere anche Draghi”. In compenso lui “sopporta” di stare al Governo col Pd. Il titolare della Farnesina invoca l’esigenza di tener fuori il premier dai giochi politici e dal toto-nomi. Al di là delle dichiarazioni più o meno roboanti in un senso o in un altro “il vero problema, sia per quanto riguarda i grillini, sia per quanto riguarda il destra-centro è quello della leadership”. E, con ogni probabilità, il terreno sul quale si consumerà lo scontro sarà proprio quello dell’elezione del Capo dello Stato. La pensa così Massimiliano Panarari, sociologo e docente dell’Università Mercatorum.

Panarari, Di Maio sembra quasi più parlare da leader del Movimento piuttosto che da ministro. 

Sì, e questo è un chiaro segnale di come si stia prolungando la lotta per la leadership interna al Movimento 5 Stelle, attualmente in mano di una persona – l’ex premier Conte – evidentemente non in grado di guidare una formazione politica in grande subbuglio. D’altra parte Di Maio, incassato il plauso dell’Economist e dei mercati per il premier Draghi, sta tentando un’operazione di istituzionalizzazione prima di tutto di se stesso, ma anche del Movimento. In qualche modo un tentativo di farlo diventare un partito di establishment. Non trascurabile l’angolo di prospettiva dal quale Di Maio osserva la scena: il dicastero degli Esteri. C’è da dire anche che Conte ha dimostrato più volte di non essere in grado di esprimere posizioni nette sui temi. Primo fra tutti, ad esempio, quello della Cannabis. In tutto questo quadro, s’innesta anche una questione di ‘umore’.

Che cosa intende?

Sono in molti a lavorare per il mantenimento dello status quo. Primi fra tutti i peones e molti dei grillini che, qualora si andasse a elezioni, difficilmente sarebbero rieletti in Parlamento. Draghi al Quirinale, va da sé, significa elezioni anticipate.

Anche Salvini pare essere intenzionato a mantenere lo status quo. 

Pure in questo caso ci troviamo nell’ambito della competizione interna per la leadership del destra-centro. Detto questo, occorre riconoscere che ci sono tante motivazioni razionali per mantenere Draghi al Governo: dal contrasto alla pandemia, passando per il presidio dei fondi del Pnrr. Certo è che il congelamento della situazione attuale potrebbe giovare a Salvini nel tentativo di riconquistare consensi rispetto a una continua ascesa di Giorgia Meloni a detrimento del Carroccio.

Almeno sulla candidatura di Berlusconi, pare che le forze della coalizione siano compatte. Lei come la vede?

Mi pare una compattezza più di forma che di sostanza. Se il Cavaliere dovesse essere il candidato di bandiera, comunque dalla quarta votazione in poi servirebbe trovare un’altra convergenza.

La variabile reale, della cui reazione pare essere intimorito anche lo stesso Di Maio, è il gruppo Misto. Oltre cento voti che potrebbero davvero determinare gli assetti. Si muoveranno tutti in maniera scomposta o ci sarà una regia?

Il gruppone misto che, in questi anni, si è dilatato a dismisura è una variabile che contribuisce a creare ancora più incertezza sulla designazione del successore di Sergio Mattarella. Oltre a essere indice della crisi dei partiti, concepiti in maniera novecentesca, apre spazi di manovra a coloro che abilmente sanno sfruttare i gangli della democrazia parlamentare. A partire dall’astuto leader di Italia Viva Matteo Renzi.

Che ruolo avrà il Pd in questa elezione?

I dem, che sono di sistema per antonomasia, si giocano tantissimo. Tanto più che, storicamente, i capi di stato sono sempre stati vicini al centrosinistra. E’ chiaro che in un contesto così variegato il Pd farà fatica a giocare il ruolo del king maker: questione di numeri. La saldatura col Movimento 5 Stelle è complessa. E, in questo modo, le variabili aumentano.

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