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Salta il voto in Libia. Il Paese è in crisi

Voto o non voto, in Libia le tensioni si stanno moltiplicando e il rischio è che si possa aprire una nuova stagione violenta. In corso contatti interni e attività diplomatiche per salvare il salvabile del percorso di stabilizzazione

Aggiornamento delle 17:56. Le elezioni sono state ufficialmente rimandate a data da definire. Possibile un rinvio di diversi mesi. “In Libia, dobbiamo proseguire con il nostro impegno per la piena stabilizzazione del Paese, seguendo il percorso tracciato dalle Nazioni Unite”, ha detto il presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, parlando alla Farnesina: “È un processo che deve rimanere a guida libica, che la comunità internazionale deve sostenere e accompagnare. Nonostante il rinvio del voto del 24 dicembre, è importante che ci siano quanto prima elezioni libere, credibili e inclusive che possano unire il Paese e portare a una pace duratura”.

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In Libia con ogni probabilità le elezioni che l’Onu aveva programmato da mesi per il 24 dicembre saranno rinviate, ma anche l’annuncio sul rinvio è stato rinviato perché non si trova un accordo nemmeno su chi, come e quando dovrà fare la dichiarazione ufficiale.

Da un lato comunicare che un intero processo di stabilizzazione in corso da febbraio (o dal cessate il fuoco di ottobre 2020 se vogliamo) è nei fatti fallito è imbarazzante – e farlo davanti ai milioni di libici che già si erano registrati sperando in un futuro passante per le urne, e davanti a una Comunità internazionale che chiede ancora in forma quasi univoca sia ancora peggio. Dall’altro fare l’annuncio serve ad accaparrarsi parte del consenso di alcuni attori interni (milizie e centri di potere vari) che il voto non lo hanno mai voluto, temendo di perdere presa sugli interessi del Paese.

L’annuncio sul rinvio dovrebbe arrivare nelle prossime ore comunque, dopo la riunione del Parlamento: ci sarà uno slittamento dai tre ai sei mesi secondo le informazioni di Formiche.net, e per questo l’assise (unica elettiva in carica dal 2014) dovrà iniziare a valutare un nuovo voto di fiducia politica a un (nuovo?) esecutivo. L’attuale Governo di unità nazionale ha infatti scadenza 24 dicembre — secondo le regole del Foro di dialogo politico libico, l’assemblea onusiana che lo ha eletto. Governo che peraltro è in una fase di interim nell’interim, perché al momento il primo ministro Abdelhamid Dabaiba è sospeso in quanto candidato, nonostante in base alle regole del Foro non si sarebbe dovuto candidare. Inoltre, per la legge elettorale parlamentare chiunque si fosse candidato avrebbe dovuto dimettersi tre mesi prima del voto, cosa che Dabaiba non ha fatto.

Il pallino pare tornato in mano al presidente del parlamento, Agila Saleh, che avrà l’opportunità di muovere le decisioni sul rinvio elettorale e di spostare voti per la fiducia sul futuro governo. Anche per questo oggi, 21 dicembre, l’inviata speciale dell’Onu, Stephanie Williams, si incontrerà con lui per parlare di come ricomporre il percorso. Williams aveva già avuto vari meeting nei giorni scorsi, mentre anche alcuni dei principali attori libici stanno portando avanti incontri per cercare di salvare il salvabile.

Il leader misuratino Ahmed Maiteeg è atteso a Bengasi per una visita molto importante — insieme all’ex ministro dell’Interno del precedente governo onusiano, Fathi Bashaga, anche lui tra i candidati, e ad Abdul Majeed Saif Al-Nasr e Aref Al-Nayed. Maiteeg vedrà il capo miliziano della Cirenaica Khalifa Haftar. Il politico misuratino non è solo l’ex vicepresidente ed ex vicepremier del defunto Governo di accordo nazionale onusiano, ma è anche colui che ha facilitato l’innesco dell’attuale stagione negoziale, favorendo passaggi sulla stabilizzazione proprio grazie ad accordi di distensione con Haftar – come quello sul petrolio per esempio.

A proposito di petrolio e gas: alcuni uomini armati affiliati alle Guardie delle strutture petrolifere (Pfg) in Libia hanno dichiarato lunedì 20 dicembre di aver chiuso degli impianti di Wafa (gas), El Sharara e Nc100 (petrolio) e la sospensione di tutti i lavori presso i giacimenti di idrocarburi di Nagus a Enc4. Sottolineatura non di second’ordine: al Wafa è gestito dall’Eni e dalla locale Noc e collegato al gas portato in Italia tramite i 520 chilometri del gasdotto Green Stream che taglia il Canale di Sicilia. La diatriba che si è innescata ha connotazioni specifiche, si parla di nomine all’interno degli impianti (che sarebbero garanzie per le Pfg) e non del quadro generale, ma com’è già accaduto a Tripoli aggiunge tensioni alle tensioni.

Il probabilissimo rinvio delle elezioni, il riaffiorare di vecchie divisioni e frizioni, uniti ai dubbi su chi guiderà il Paese in forma transitoria e su come potrà farlo, stanno facendo maturare l’idea che dopo il 24 si possa riaprire una stagione tesissima, anche violenta. Ayn Zara, Mashroue Hadhba, Yarmok, aree attorno a Tripoli, hanno già strade bloccate da sacchi di sabbia: qualcosa che fa pensare a potenziali scontri. Nel Paese ci sono milizie ostili, che non accettano la stabilizzazione perché le farebbe scomparire, e ci sono forze straniere (turche e russe, e mercenari africani e siriani) pronte ad alimentare le divisioni. E il rischio è che questo possa essere il destino anche se si trovasse una soluzione di voto last minute (o un rinvio di pochi giorni).

Sotto quest’ottica, davanti a un’enorme incertezza e al rischio di innesco di nuovi scontri armati, diventa sempre più importante il ruolo svolto dalla missione Irini, che anche e recentemente ha bloccato nel Mediterraneo un carico sospetto diretto in Libia. Una presenza, quella di Eunavfor Med Irini, che può continuare a svolgere un’azione di deterrenza nel Mediterraneo centrale.



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