Skip to main content

A Mali estremi. Da Kiev all’Africa, gli occhiolini russi di Macron

Bacchetta Zelensky, apre un varco ai mercenari russi in Mali, sogna Putin ai tavoli europei. A che gioco gioca Emmanuel Macron? L’autonomia europea sbandierata dal presidente francese, da gennaio al timone del Consiglio Ue, passa da un reset con Mosca che non piace a tutti

C’è un’incognita nei negoziati tra Russia e Nato per scongiurare una guerra in Ucraina. E questa incognita ha un nome e cognome: Emmanuel Macron. Il presidente francese ha una sua personale idea sui rapporti che l’Europa deve intrattenere con il più ingombrante vicino di casa.

Il titolare dell’Eliseo non fa mistero di avere opinioni divergenti – eufemismo – rispetto all’alleato americano sulle distanze che devono separare Mosca da Bruxelles. Una lunga intervista concessa ai media nazionali nel week end conferma il “disegno” macroniano in un momento di tensioni senza precedenti, con 170mila soldati russi schierati a pochi chilometri dal confine ucraino. La conversazione con TF1-LC1 è un manifesto della Russian policy del presidente. Ma soprattutto la prova, se mai ve ne fosse bisogno, di quanto stonata sia l’orchestra della politica estera europea.

Pur riconoscendo la natura “vendicativa” contro l’Occidente della diplomazia targata Vladimir Putin, Macron ha risuonato un vecchio spartito. “Prima o poi” Francia e Russia torneranno a cooperare sullo scacchiere internazionale per evitare “un’alleanza” tra Mosca e Pechino. L’intervista contiene una trafila di occhiolini al Cremlino, dai rapporti culturali tra francesi e russi, “la Francia ama la Russia”, al ricordo della passeggiata con Putin nella Galleria delle battaglie a Versailles nel 2017. Stona non poco con il clima che si respira nelle cancellerie europee e nel quartier generale alla Nato a Bruxelles, dove il governo russo ha appena spedito una lista di richieste perlopiù irricevibili per risolvere lo stallo ucraino.

È invece in piena sintonia con l’identità politica di Macron, convinto di seguire le tracce del generale Charles De Gaulle, che si intendeva con i sovietici e mal sopportava la logica dei blocchi imposta dall’appartenenza alla Nato. Lo è con la postura che l’Eliseo ha tenuto di fronte all’escalation ad Est. Con un richiamo continuo e anche severo al governo di Vladimir Zelensky al rispetto degli accordi di Minsk, e aperture inedite alla Piazza Rossa. “La nostra idea è tentare di riportare la Russia ai format di cooperazione”, ha detto due settimane fa a France Presse. Un tentativo che trova concordi gli Stati Uniti, ma solo in parte.

Se da Washington, come ha spiegato la vicesegretaria di Stato Karen Donfried, c’è il via libera per il ritorno dei russi nel Consiglio Nato-Russia, a Parigi Macron tesse piani più ambiziosi. È l’Europa, non la Nato, a dover tenere in mano le redini dei rapporti con Mosca. E con Europa l’inquilino dell’Eliseo intende Francia e Germania.

I due Paesi che con Russia e Ucraina sono vigilano sulla crisi nel Formato Normandia, un esperimento poco riuscito, tanto che gli Stati Uniti, ha detto Donfried, non vogliono entrarci. Gli stessi Paesi che lo scorso giugno si sono resi protagonisti di un blitz a Bruxelles, quando durante il Consiglio europeo del 24 giugno hanno provato a inserire nella bozza finale il ritorno ufficiale di Putin e del governo russo ai dialoghi di “alto livello” con i vertici dell’Ue, sospesi dal 2014, anno dell’invasione della Crimea.

È stata una delle ultime mosse di scacchi di Angela Merkel, l’ex cancelliera che più volte ha dovuto difendersi dall’accusa di “ambiguità” nei confronti della Russia, specialmente all’indomani della costruzione di Nord Stream 2, il gasdotto miliardario di Gazprom. Il blitz è stato fermato dal blocco dei Paesi Est Europei, Polonia e Lituania in testa, per niente entusiasti di stendere un tappeto rosso allo zar nel cuore dell’Ue.

Quel progetto riaffiora però di continuo nelle mosse francesi, anche in questi giorni, sospesi sull’orlo di uno scontro militare con i russi sul suolo europeo. Perché è molto più di un progetto, è una legacy politica. L’Europa a trazione francese dell’autonomia, anzi della “sovranità strategica”, come l’ha ribattezzata Macron a inizio dicembre, può e deve parlare da sola con la Russia. E poco importa che queste ambizioni siano già state in parte smentite dalle vicende ucraine, che hanno confermato l’esistenza di un filo direttissimo tra Washington e Mosca, con buona pace degli aspiranti pontieri. A gennaio inizia il semestre della presidenza francese al Consiglio Ue e il nodo russo non sarà secondario nel programma.

Ma la partita russa di Macron ha un campo più ampio di quello europeo. Si gioca anche in Africa, dove Putin ha appena rifilato a Parigi una cocente umiliazione. In Mali, mentre fanno le valigie le truppe francesi dell’operazione Barkhane, che da otto anni pattuglia le ex colonie del Sahel a caccia di jihadisti, bussano alla porta i mercenari russi di Wagner, il gruppo armato che agisce da “proxy” non ufficiale del Cremlino in Medio Oriente come in Nord Africa.

Pessimo tempismo, hanno notato in molti. Che sia o meno un occhiolino ai russi, l’imbarazzo di Macron è evidente. Tanto che all’ultimo è saltato il viaggio di commiato a Bamako, ufficialmente a causa del Covid. Parigi non fa certo i salti di gioia per l’arrivo dei mercenari russi che già in Libia hanno ridimensionato insieme ai turchi le ambizioni francesi. E però l’avanzata del gruppo Wagner, oggi pronto a stringere un patto di ferro con la giunta militare golpista maliana, è stata lenta, graduale, prevedibile, né ha incontrato grandi resistenze dall’Eliseo, parole a parte. In ossequio forse a un adagio pronunciato da Macron due anni fa, poco prima di dichiarare “cerebralmente morta” la Nato. Dell’Alleanza atlantica “la Russia non è più il nemico”. Appunto.

×

Iscriviti alla newsletter