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Lo spread, quel sassolino sulla strada di Draghi verso il Quirinale

Nelle stesse ore in cui il premier apriva a una sua salita al Colle dai mercati arrivavano i primi cenni di nervosismo, con il differenziale Btp-Bund a 140 punti base, ai massimi da un anno. Un segnale da non ignorare, anche perché la Bce sta per chiudere l’ombrello

Era il novembre del 2020 quando lo spread tra Btp e Bund toccò i 140 punti base. Un anno e un mese dopo, quella quota è stata nuovamente raggiunta, in concomitanza con la conferenza stampa di fine anno di Mario Draghi dalla quale è emersa una vaga apertura verso il Quirinale. Il segnale era inevitabile, i mercati che prestano 400 miliardi di euro all’anno all’Italia, finanziandone la spesa pubblica, non hanno mai digerito l’idea di un Draghi al Colle. Molto meglio a Palazzo Chigi, a garanzia di quel Pnrr che vale oltre 200 miliardi di euro.

E così, mentre il premier rispondeva alle domande dei giornalisti all’Auditotium Antonianum, lo spread, ovvero la differenza di rendimento tra un titolo di Stato decennale tedesco e l’equivalente italiano, ha sfiorato i 140 punti base, come detto il livello più alto dal novembre 2020. Un movimento dovuto all’incremento di rendimento dei Btp salito a 1,117% (il Bund tedesco è rimasto sostanzialmente fermo). Forse è presto per farsi delle idee precise, ma è possibile che gli investitori inizino a fiutare aria di turbolenze politiche, indipendentemente da come finirà la corsa alla presidenza della Repubblica. Non è solo l’ipotesi di Draghi Capo dello Stato a innervosire i mercati: anche un aumento delle tensioni nella maggioranza è infatti da mettere in conto.

Come noto, lo spread è il termometro della fiducia degli investitori verso l’Italia, il suo debito e, soprattutto, la sua classe dirigente. Più il differenziale sale, più costa al Tesoro assicurarsi la vendita dei titoli di Stato, dal momento che occorre alzare il premio di rischio per compensare la minore domanda, innescata dalla sfiducia. Nel 2011, uno spread a 500 punti base, costò il governo all’allora premier Silvio Berlusconi. Ma quella è un’altra storia e allora non c’era lo scudo della Bce, Anzi. Oggi quello scudo c’è ma, attenzione, tra pochi mesi si chiuderà l’ombrello di Christine Lagarde, ovvero il programma pandemico per l’acquisto di titoli pubblici, al fine di finanziare i debiti sovrani e garantire liquidità al sistema al contempo.

Ad oggi, come ha ricordato Reuters, l’azione della Bce ha garantito da marzo 2020 acquisti per 250 miliardi di euro, tenendo sotto stretto controllo i rendimenti del Btp, ovvero la cedola da pagare a chi sottoscrive i titoli. Eppure, lo scenario di un Draghi al Quirinale unito allo stop degli acquisti da parte della Bce potrebbe riaccendere qualche preoccupazione.  “Sembra probabile che i rendimenti italiani cominceranno a salire significativamente se la Bce smettesse di comprare obbligazioni italiane”, ha detto Jesper Rangvid, professore di finanza alla Copenhagen Business School, citato da Reuters.

Il rischio, insomma, c’è. A questo punto, visto che Francoforte non farà retromarcia (pur mantenendo i tassi a zero) molto dipenderà dal fatto che l’Italia possa fare buon uso di circa 200 miliardi di euro in sovvenzioni e prestiti a basso costo concessi dall’Europa. Lì si giocherà la partita della fiducia dei mercati. Certo, se poi l’ex presidente della Bce rimanesse a Palazzo Chigi, la sensazione di protezione e garanzia aumenterebbe. Su quest’ultimo punto, però, il premier sembra essere non troppo convinto. “Non sono i singoli individui a rappresentare la forza dell’Italia ma quello che ha fatto il paese, come ha reagito anche a livello psicologico.Se si continua a crescere la preoccupazione per lo spread è minore, i mercati guardano alla crescita prima di tutto, è quello il barometro di credibilità dei paesi e del nostro in particolare”. Si vedrà, con l’anno nuovo.


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