I consigli dell’Ecfr all’Ue per il Sudan: evitare che il lato militare della transizione finisca gestito completamente dalla Russia
In un’analisi per l’Ecfr Theodore Murphy, direttore del Programma Africa, e Mattia Caniglia, Pan-European Fellow, spiegano che i leader occidentali possono impedire che l’esercito sudanese diventi ulteriormente dipendente dal Cremlino. Un problema di non secondo ordine se si considera che il Sudan sta vivendo una delicatissima fase in cui il sistema transizionale era stato temporaneamente sospeso da un golpe morbido con cui i militari avevano sospeso il governo di Abdalla Hamdok. Tutto avveniva due mesi fa, poi (tra le pressioni americane, diplomatiche e meno) si è faticosamente ritrovato un equilibrio.
Tutto si moltiplica considerando anche le penetrazioni russe nella transizione post-golpe in Mali, le attività portare avanti nell’Est libico, la presenza in Repubblica Centrafricana, in Madagascar e in vari altri Paesi africani. Attività che il Cremlino affida anche (soprattutto?) alle capacità ibride di specialisti come quelli del Wagner Group, che recentemente è stato messo sotto sanzioni dall’Ue proprio per questo genere di operazioni.
Secondo i due analisti del think tank paneuropeo per raggiungere l’obiettivo di allontanare dalle influenze di Mosca il lato militare che fa da contropeso a quello politico nel precario equilibrio di Khartoum, Bruxelles dovrebbe cambiare strategia. In breve: anziché sanzionare direttamente i militari e rischiare di reiterare il modello di isolamento e dipendenza che ha spinto l’ex dittatore Omar Bashir verso la Russia nel 2017, i Paesi occidentali dovrebbero offrire ai militari una partnership in cambio del loro sostegno per una transizione democratica.
La situazione nel Paese è ancora critica. Parte della popolazione non interpreta positivamente l’accordo tra i militari del Consiglio Sovrano di Transizione e Hamdok. Viene recepito come l’accettazione da parte del premier, per interesse personale, della regola di forza imposta dai militari. Le manifestazioni che c’erano state nel momento del suo arresto (durante il golpe) sono proseguite anche in questi giorni: quello che sta cambiando è che adesso alcuni cittadini accusano il capo del governo di aver ceduto al compromesso con i vertici delle Forze Armate. Hamdok potrebbe anche dimettersi innescando un ulteriore problema di transizione ed equilibri, mentre la polizia usa anche maniere forti con i manifestanti.
#Sudan 🇸🇩: protesters are marching towards the presidential palace in #Khartoum.#مليونية25ديسمبر pic.twitter.com/QXtFE0mw3X
— Thomas van Linge (@ThomasVLinge) December 25, 2021
Tensioni sociali in uno Stato la cui la stabilità si lega a crisi profonde come quella del Darfur e a un contesto generale sensibile com’è quello dell’Africa centrale. Il Sudan è in effetti coinvolto in vari livelli di problematiche: disposto in senso latitudinale nel prolungamento orientale del Sahel, affacciato sul Mar Rosso, connesso al blocco del Corno D’Africa. Risente delle dinamiche saheliane (l’insicurezza e l’instabilità collegate anche alla diffusione di gruppi armati, compresi alcuni jihadisti); subisce il peso della dimensione marittima (bramata dalla Russia, interesse degli Stati Uniti); soffre delle crisi del Corno (la guerra del Tigray, la contesa della piana di Fashaga, la diga Gerd).
In questo disequilibrio ampio, intento ed esterno, lo scenario favorito da Mosca per il Sudan è una transizione verso un governo civile che garantisca l’autonomia militare sulla politica estera — scenario per altro accettabile per i principali partner russi, come la Cina, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e l’Egitto. In questo non ci sarebbe imposizione di sanzioni che limiterebbero i legami economici della Russia con il Sudan, e Mosca potrebbe continuare a negoziare direttamente con l’esercito sudanese — soffocando i critici delle relazioni Russia-Sudan nella società civile. “Questa preferenza probabilmente porterà la Russia ad agire contemporaneamente come un sostenitore pubblico della transizione del Sudan e un guastafeste dei suoi impulsi democratici nei mesi a venire”, ha scritto il ricercatore Samuel Ramani di Oxford, in un’analisi pubblicata dal Middle East Institute.