Ripensare le priorità economiche in favore della genitorialità non può nascere solo dalla consapevolezza che converrebbe anche agli anziani le cui pensioni qualcuno dovrà pure pagarle, ma anche dalla consapevolezza che la patria è un sistema che si tramanda a qualcuno, non un fortino arroccato e solitario
A ognuno è lecito obiettare. Ma per farlo occorrerebbe almeno un’idea. E obiettare alla preoccupazione di papa Francesco per “l’inverno demografico” è a dir poco complesso. L’inverno demografico non è solo un dato statistico indiscutibile, ma anche un fenomeno culturale. Le statistiche ci dicono che in Italia i decessi superano le nascite, in particolare in alcune aree del sud i numeri sono allarmanti. Il deficit di “sostituzione naturale” tra nati e morti (saldo naturale) nel 2020 raggiunge – 335mila unità.
Le cause sono soprattutto effetti “strutturali” indotti dalle significative modificazioni della popolazione femminile in età feconda. In questa fascia di popolazione le donne italiane sono sempre meno numerose: le donne negli anni del boom economico, tra la seconda metà degli anni Sessanta e la prima metà dei Settanta, stanno uscendo dalla fase riproduttiva mentre le generazioni più giovani sono sempre meno consistenti. Queste ultime scontano, infatti, l’effetto del cosiddetto baby-bust, ovvero la fase di forte calo della fecondità del ventennio 1976-1995, che ha portato al minimo storico di 1,19 figli per donna nel 1995. Tutto questo ci parla di un evidente invecchiamento medio della popolazione italiana, visto che la vita si allunga. I “patrioti” sono i primi che dovrebbero pensarci, ma per farlo la prima cosa che dovrebbero fare è interrogarsi sui motivi di questa tendenza “nazionale”. Non si tratta solo di una politica economica che non aiuta le giovani generazioni a scegliere la genitorialità, si tratta di modelli e di sfiducia nel futuro.
Dal punto di vista dei modelli è chiaro che un modello individualista non spinge verso un investimento genitoriale. La disoccupazione giovanile, la scarsa attenzione ai bisogni di chi mette su famiglia, anche paragonandoci a Paesi come la Francia, sono collegati a un modello basato su quello che alcuni chiamano “io sovrano”. Questo modello non è solo di natura consumista, ma anche di natura sfiduciata, nel futuro. Non a caso le più recenti statistiche al riguardo parlano di un aggravarsi della tendenza nell’epoca pandemica.
Gli anni del boom hanno seguito la Seconda Guerra Mondiale e quindi facevano perno su una visione ottimista, nella quale il futuro era guardato con fiducia. Guardando al futuro con fiducia ci si riproduce con più convinzione. Perdere fiducia nel futuro porta a rinchiudersi nel presente e quindi a scegliere una visione individualista, appunto l’io sovrano. “Penso per me e a me non per scelta, ma anche per necessità”.
Il papa ha dunque fatto bene a mio avviso a parlare di “patria”. Cosa vuol dire essere patrioti? Non vuol più dire mettersi l’elmetto e difendere i patri confini dall’invasore, vuol dire pensare a costruire una cultura ottimista, che recuperi la fiducia nel futuro, e la fiducia potrebbe passare anche da nuove tasse per creare servizi diffusi ed efficienti per la madri lavoratrici accessibili a tutte, ad apprezzare le imprese che non discriminino, come si dice possa accadere oggi, una possibile madre o una giovane madre disoccupata. Se ne avvantaggerebbe lei, la patria, e l’idea di essere di nuovo comunità.
Ripensare le priorità economiche in favore della genitorialità non può nascere solo dalla consapevolezza che converrebbe anche agli anziani le cui pensioni qualcuno dovrà pure pagarle, ma anche dalla consapevolezza che la patria è un sistema che si tramanda a qualcuno, non un fortino arroccato e solitario.
Così l’inverno demografico rimanda a una crisi culturale, una crisi di fiducia in noi stessi e nel nostro senso nel mondo. Abbiamo senso come Paese? Un ruolo da proiettare nel futuro? Una funzione politica di ponte in questo nostro contesto europeo e mediterraneo? Vederlo aiuterebbe a ritrovare il senso patriottico e il desiderio di dare un futuro. È per questo, ritengo, che Francesco ha aggiunto che l’inverno demografico va anche contro il nostro futuro. Non è solo un discorso economico, ma di fiducia nel futuro, nella convinzione di averlo. Chiusi nel sovranismo dell’io, che non è un sovranismo riservato ai sovranisti ma anche a chi vede solo diritti individuali e mai sociali, il futuro non è nell’ordine delle preoccupazioni, a dir poco non lo è quanto lo è il presente.