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Il 2021 è stato l’anno dei golpe, e adesso?

Cinque colpi di Stato in un solo anno, diversi episodi in cui le istituzioni democratiche sono state messe in crisi. Il 2021 è stato un anno critico, e nel 2022 ci sono i rischi di emulazione di quest’epidemia

Il Washington Post la chiama “epidemia di colpi di Stato”, con un gioco tra il Seo e il contesto storico, ma in effetti il 2021 è stato un anno in cui diversi Paesi sono precipitati nel caos di un golpe. Mali, Ciad, Sudan, Myanmar, Guinea, e poi la sospensione della divisione dei poteri ordinata dal presidente in Tunisia e per finire un tentativo non riuscito in Niger. Una situazione che dimostra quanto l’azione di politica internazionale che il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha impostato attorno ai valori democratici sia complicata. Appoggiata dall’Unione europea e dagli stati like-minded al di fuori dell’Occidente (Giappone, Corea del Sud e Australia per esempio), questa scelta politica che si sintetizza nell’idea del Summit delle Democrazie è messa in difficoltà da crepe interne a certi Paesi — crepe che la pandemia ha approfondito, allargato — e da uno scontro tra modelli su cui si confrontano dall’altro lato gli autoritarismi come la Cina, la Russia, l’Iran. Sponda questa allettante per le monarchie del Golfo, per i presidenzialismi estremizzati dell’Asia Centrale, per alcune più traballanti pseudo-democrazie africane i asiatiche e perfino per qualche membro dell’Ue come l’Ungheria.

Come riporta uno studio della University of Central Florida e della University of Kentucky i colpi di Stato nell’anno appena concluso sono stati un record per il 21esimo secolo è più di quelli cumulato nell’ultimo lustro. “Il fatto che abbiamo forti divisioni geopolitiche; il fatto che il Consiglio di Sicurezza ha molte difficoltà a prendere misure forti; l’impatto e i problemi di Covid e le difficoltà che molti paesi affrontano dal punto di vista economico e sociale: questi tre fattori stanno creando un ambiente in cui alcuni leader militari sentono di avere una totale impunità”, ha detto il segretario delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, in una conferenza stampa di ottobre. “Possono fare quello che vogliono perché non gli succederà niente”, ha aggiunto con un’uscita realista che di fatto coinvolge anche l’istituzione che guida, spesso campo di battaglia per quel confronto tra modelli, con attori che portano avanti in ambito onusiano interessi e coinvolgimenti che spesso complicano l’azione collettiva e multilaterale, minandone l’efficacia. Evidente il caso del Mali, dove un recente colpo di Stato ne ha seguito un altro di pochi mesi prima e ora la sicurezza ai golpisti verrà fornita da una società di militari privati molto vicina al Cremlino.

Al di là dell’analisi affilata di Guterres, le ragioni di questa epidemia non sono accomunabili. Ci sono miriadi di fattori locali dietro ogni colpo di Stato, anche se il fatto che abbiano avuto luogo durante una storica crisi sanitaria globale — la pandemia prodotta dal coronavirus — è un aspetto interessante. I dati analizzati in “World Protests: A Study of Key Protest Issues in the 21st Century” mostrano un forte aumento del numero di proteste nel 2020, il primo anno della pandemia, e questo suggerisce un livello più ampio di disordini politici globali — lo studio è stato fatto da un team di ricercatori del think tank tedesco Friedrich-Ebert-Stiftung (Fes) e dell’Initiative for Policy Dialogue, un’organizzazione non profit con sede alla Columbia University.

Sebbene in molti dei golpe di questo ultimo anno ci siano dietro questioni che durano da anni, è possibile che alcune dinamiche abbiano avuto delle accelerazioni. Se la pandemia è un terreno comune che in questo come in tanti altri casi ha fatto da acceleratore (con le crisi politiche, sociali, economiche, psicologiche che si sta portando dietro), un altro fattore comune è l’emulazione. Un golpe di successo può essere d’ispirazione, incoraggiamento, per un successivo. Ed ecco che lo scenario per il 2022 diventa critico, visto i precedenti del 2021.



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