La transizione energetica non è un pasto gratis. Dal gas alle rinnovabili, c’è una dimensione sicurezza che non si può più ignorare. E come avvisa il Copasir riguarda da vicino il nostro Paese. Il commento di Leonardo Bellodi
Non poteva essere più tempestivo e appropriato il momento dell’adozione da parte del Copasir del rapporto sulla transizione energetica e sicurezza degli approvvigionamenti.
Sono infatti giorni di passione, se così possiamo definirli, per il settore energetico che deve affrontare l’aumento vertiginoso dei prezzi di gas e energia elettrica e di variabili geopolitiche che aggiungono incertezza a un quadro pieno di incognite.
Il fatto che il rapporto sia adottato ora la dice lunga sul ruolo centrale che il Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, ha assunto negli ultimi anni. Da “semplice” organo che esercita il controllo parlamentare sull’operato dei servizi segreti italiani, si è trasformato in una sede di condivisione di strategie e di indirizzo senza dimenticare ovviamente la funzione principale che è quella del controllo sulle attività del comparto intelligence che deve sempre servire l’interesse nazionale.
Il compito del Copasir non è affatto facile. E si trova tra Scilla e Cariddi. Deve vigilare e raccomandare da un lato ma senza ledere il margine di flessibilità, di segretezza, di non convenzionalità nell’operare che sono requisiti essenziali dell’ azione degli organi di intelligence.
Non a caso il comparto intelligence tedesco è preoccupato da una norma entrata in vigore in Germania qualche giorno fa che introduce, accanto al controllo parlamentare sull’operato dei servizi, un nuovo organismo di supervisione (Unabhangiger Kontrollrat) amministrativa dell’operato della Bnd (che corrisponde alla nostra Aise).
Di segno opposto è invece la nuova norma del Regno Unito che prevede che non vi sia alcun controllo giudiziario sulle decisioni prese dal governo in tema di golden power. Un approccio che è in linea con il pragmatico atteggiamento dei paesi di common law attenti alla separazione dei poteri. Spetta al governo decidere cosa corrisponda all’ interesse nazionale soprattutto nel campo delle relazioni internazionali e non è raro che i giudici, quando si tratta di statuire su questioni di questo tipo, chiedano formalmente una posizione al Foreign Office.
Per tornare alla rapporto del Copasir, l’azione del comitato non è stata solo tempestiva ma anche coraggiosa. Non ha avuto infatti timore a sottolineare come l’azione delle Istituzioni Europee, Commissione e Parlamento in primis, si sia concentrata molto sui temi della transizione energetica tralasciando quelli, altrettanto importanti, della sicurezza degli approvvigionamenti che in poco parole significa avere tutta l’energia di cui abbiamo bisogno, quando ne abbiamo bisogno a un prezzo ragionevole. Dicevamo coraggiosa perché scrivere nero su bianco che esistono altri temi che devono presi in considerazione oltre a quello, ineludibili, della lotta al cambiamento energetico è un argomento poco popolare al giorno d’oggi.
Eppure in Italia ce ne dovremmo preoccupare eccome. Malgrado il nostro paese abbia delle discrete riserve di petrolio e gas, leggi e comunità locali ne hanno di fatto impedito lo sfruttamento con il risultato che siamo molto dipendenti dall’estero.
Secondo il rapporto infatti “l’approvvigionamento (di gas) è prevalentemente estero e origina in gran parte dalla Russia (42% dell’approvvigionamento estero), seguono Algeria (14%), Qatar (11%), Norvegia (9%), Libia (8%) e Olanda (2%). Del gas estero, l’80% è importato tramite gasdotto e i principali gasdotti sono il Tag, attraverso l’Austria; il Transitgas, che si collega all’interconnessione tra Germania e Francia; il Transmed, dalla Tunisia; il Greenstream, dalla Libia; il Tap, di interconnessione tra Grecia e Italia. Il restante 20% è importato sotto forma di Gnl, gas naturale liquefatto, attraverso tre rigassificatori.
Il Copasir non a caso pone l’accento sul gas che considera la fonte di transizione energetica (dal petrolio alle rinnovabili) di eccellenza.
Ma proprio il gas impone all’ Italia un’attenzione particolare da parte del nostro comparto intelligence. Per due ragioni. Innanzitutto i paesi da cui il gas ci arriva sono poco stabili politicamente (si pensi alla Libia) o “attenzionati” da parte delle grandi stati esteri. Per motivi differenti: gli Stati Uniti hanno introdotto un sistema di sanzioni che, pur non riguardando direttamente la produzione di gas, di fatto ne influenzano il commercio e la Cina guarda alla Russia come un grande fornitore e potrebbe diventare il principale importatore soppiantando l’ Unione Europea, Una competizione tra stati UE, Cina e Asia su chi si accaparra il gas russo avrebbe ovviamente un riflesso poco simpatico sui prezzi.
La seconda ragione è legata ai paesi di transito del gas: Ucraina, Turchia, Mar Mediterraneo sono luoghi in fibrillazione dal punto di vista geopolitico.
Non è un caso dunque che, molto opportunamente, il Copasir mette l’accento sulla necessità da parte dei servizi italiani di attrezzarsi sempre di più sul lato dell’intelligence economica sempre più centrale rispetto alle tradizionali attività di impostazione militare.
Su questo abbiamo molto da imparare dalla Francia (con la sua ecole de guerre economique) e dal Regno Unito. E non è un caso che il potente e carismatico vice direttore della Cia, David Cohen, abbia avuto una lunga esperienza al Dipartimento del Tesoro americano.