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Chi vincerà? La risposta è al centro

L’alleanza tra Bossi e Berlusconi ha permesso di assumere una posizione dominante nel nord (in particolare in Lombardia e Veneto) attraverso la rappresentanza di aree e interessi economici differenti, uniti dalla protesta contro la burocrazia statale e l’eccessiva tassazione.
 
Questo ha portato a parlare di “questione settentrionale” e a dipingere erroneamente il nord come una entità unica con caratteristiche uniformi. La Lega ad esempio si è affermata e ha costruito la sua base elettorale nell’ampia area pedemontana, caratterizzata da un modello economico incentrato sulla piccola impresa, differente sia dalla zona del triangolo industriale (Torino, Milano e Genova), sia dal Mezzogiorno. Non a caso è cresciuta recentemente in aree che hanno un modello similare di sviluppo economico (Emilia Romagna, Marche, Umbria e Toscana) anche se con una diversa subcultura politica di riferimento.
 
Negli ultimi anni la mobilità elettorale è cresciuta, ma si è manifestata soprattutto all’interno dei due poli: la crescita della Lega, a partire dal 2008 è dovuta in larga parte alla capacità di assorbire una parte degli elettori di An e di Fi in seguito alla nascita del Popolo della libertà. Il partito guidato da Bossi è riuscito finora a gestire abilmente il passaggio dalle fasi di governo a quelle di opposizione, calibrando i propri messaggi a seconda del clima elettorale e del tipo di competizione.
 
Ora di fronte al calo di consensi, e ad alcune sconfitte significative nelle ultime due tornate amministrative, ci si domanda se è in crisi il modello di rappresentanza basato su una divisione dei compiti e una salda alleanza tra Lega nord e la formazione fondata da Berlusconi. Può approfittarne il centrosinistra conquistando elettori delusi e costruendo una nuova coalizione sociale a suo sostegno?
 
Ad una crescente sfiducia nei confronti del governo non è però seguita una crescita corrispondente di consensi e di fiducia nei confronti del Pd che non è stato in grado di beneficiare di quella rendita di posizione che solitamente hanno i partiti di opposizione durante un andamento negativo dell’economia. Anche se fino a questo momento è stato lo spostamento dei consensi nelle regioni meridionali a determinare l’esito delle elezioni politiche, il Pd non può permettersi di rimanere perdente in ampie aree del nord. Il rischio è di non riuscire a rappresentare le richieste di modernizzazione e pagare a caro prezzo l’incapacità di creare una nuova coalizione sociale che sottragga una parte considerevole di piccoli imprenditori e partite iva al centrodestra.
 
Tranne clamorosi cambiamenti Pdl e Lega si presenteranno separati e si conteranno in vista delle Politiche 2013. La Lega, che ha finora sempre guadagnato consensi in momenti di forte crisi economica (è accaduto nel 1983, nel 1992, nel 1996 e nel 2008), deve dimostrare di essere indispensabile in vista delle politiche. Un crollo del Pdl potrebbe dare una spinta da un lato alla formazione di un nuovo partito da parte di Berlusconi e dall’altro a una nuova formazione moderata che vada oltre gli attuali confini del Terzo polo e possa diventare polo di attrazione per i voti in libera uscita del Pdl.
 
Sono i due partiti principali (Pd e Pdl) a mostrare segnali di forte difficoltà: il loro rendimento è largamente inferiore a quello che liste separate erano in grado di ottenere. Dal punto di vista del marketing politico i due nuovi partiti scontano una debolezza di identità: uniscono identità ed elettorati con forti differenze, basti pensare alle posizioni liberiste di Fi (meno tasse e modernizzazione) e allo stampo più conservatore di An (Stato sociale, sicurezza, nazione). La conflittualità interna e la scomparsa del proprio prodotto preferito ha portato molti elettori a cercare prodotti alternativi, proprio come nei comportamenti di consumo (questo è più evidente nelle elezioni amministrative dove si può votare solo il candidato e si hanno più liste a disposizione).
 
Se è vero come sostiene la legge di Farley che “la maggior parte delle elezioni è già decisa prima ancora che la campagna abbia inizio”, è anche vero che tutti gli elementi predittivi in vista del 2013 sono soggetti a mutamenti rapidi e profondi che potrebbero modificare radicalmente lo scenario. Il giudizio sull’operato del governo, strettamente correlato a quello dell’economia, incide notevolmente sul risultato di un’elezione.
 
Il successo di Monti potrebbe favorire un rafforzamento dell’attuale quadro politico o con maggiori probabilità favorire una scomposizione e ricomposizione delle attuali formazioni politiche lasciando spazio a nuove formazioni politiche con soggetti nuovi o che fanno parte del governo in carica. L’offerta elettorale e la composizione delle alleanze politiche sono sempre state decisive fino a questo momento: nel 1996 Prodi vinse per la spaccatura nel centrodestra, e nel 2006 per la capacità di mettere insieme un’ampia e composita alleanza (che non resse però alla prova del governo). Sebbene gli elettori non siano disposti a votare qualsiasi alleanza (e questo rappresenta un vincolo non marginale per Bersani), è pur vero che la presenza dell’Udc rende più facile il successo.
 
La vera scommessa per Pd e Pdl è di intercettare i consensi moderati attraverso la capacità di occupare il centro del mercato elettorale. Un cambiamento delle regole del gioco (legge elettorale) potrebbe favorire un assetto partitico rispetto a un altro, dando ad alcune formazioni un vantaggio competitivo.
 
In conclusione vincerà chi saprà sfruttare al meglio il contesto complessivo per dare una nuova offerta politica agli italiani, che dovrà essere accompagnata da una solida offerta di contenuti e valori comunicati attraverso una narrazione forte ed efficace. E non è mai troppo presto per predisporre la strategia e i messaggi per vincere le prossime elezioni politiche.


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