La candidatura del Cavaliere ha messo nuovamente a nudo deficit etici e culturali che sono della classe dirigente come del semplice elettore. In Italia, sia i politici sia i cittadini, sono da sempre, poco formati a pensare e agire politicamente. E in questo sembriamo, ad oggi, non aver fatto molti passi in avanti se ci sono ancora politici e cittadini che propongono candidati di dubbia maturità umana ed etica, come di scarsa competenza professionale
Berlusconi fa un passo indietro e rinuncia, in nome della ricerca dell’unità del Paese. È quanto si apprende dal vertice del centrodestra, che si impegna a fare proposta condivisa del centrodestra all’altezza in grado di avere il massimo consenso possibile (Ansa). La notizia merita, a mio personale avviso, alcune note di carattere etico, oltre che politico e istituzionale, anche per la pesante influenza che ha avuto, la candidatura di Berlusconi, in un processo difficile e oscuro come questa tornata elettiva per il nuovo/a inquilino/a del Quirinale.
L’appoggio alla candidatura di Berlusconi sembra radicarsi in una lunga scia culturale, che ha origine nel 1994, fatta di modelli antropologici e culturali, che potrebbero essere sintetizzati con il termine di berlusconismo. Si tratta di un modo di essere e pensare che supera lo stretto ambito individuale della persona di Silvio Berlusconi e si pone come un ampio movimento di idee e di azione, che tuttavia ha in lui il suo leader indiscusso. Gli ultimi eventi ci testimoniano come il berlusconismo è tutt’altro che scomparso; esso resta un misto, molto discutibile, di diverse caratteristiche delle “leadership strategiche” unite a posizioni antropologiche ed etiche, che oggigiorno riscuotono molti consensi. I suoi elementi più appariscenti sono: un marcato utilitarismo, la sete sfrenata di potere e denaro, il servirsi delle istituzioni più che il servirle, il piegare le leggi a proprio favore, il vantarsi di non pagare le tasse, il ritenere nemici tutti coloro che non condividono il proprio pensiero ed operato, l’utilizzo strumentale della religione, il mancato rispetto della laicità dello Stato, il non mantenere fede agli impegni presi, l’ottenere il consenso con ogni mezzo lecito e illecito, la forte tendenza all’autoreferenzialità e al ritenersi al di sopra di tutto e di tutti. È possibile che tutto questo sia stato dimenticato (o forse mai compreso e valutato a fondo) tanto da proporre Silvio Berlusconi per la più alta carica della nostra Repubblica?
Tutte le leadership strategiche hanno forti connotati populistici, sono costruite a tavolino da tecnici, per lo più esperti del mondo dei media e di marketing, che programmano slogan, stili comportamentali del leader: costruiscono il nuovo leader per precise finalità e con particolari strategie. Il “leader strategico” è così addestrato a suggestionare, convincere ed ottenere il consenso del popolo, considerato massa di manovra. In questo modo, non sono più fondamentali le capacità carismatiche, le doti ideali, morali e professionali del leader, perché le qualità possono essere congegnate artificiosamente. Diventa fondamentale, invece, per il leader strategico, riuscire ad avere appoggi sufficienti da parte di lobby, di grandi istituzioni (culturali, economiche, religiose), di associazioni influenti e di poteri forti, spesso anche occulti e/o malavitosi, che assicurino voti e danaro sufficiente per poter vincere le elezioni.
Nei confronti di questo tipo di leader i seguaci sembrano provare una sorta di “passione idolatra” (E. Fromm). Gli elettori di Berlusconi, cittadini o parlamentari che siano, sembrano rivelare, nelle scelte partitiche, il profondo bisogno di credere in un personaggio che si proponga come onnisciente, potente, capace di proteggere e di prendersi cura di chi lo segue. Per giustificare la sua candidatura e persino il suo ritiro sono stati ripetuti a iosa caratteristiche di Berlusconi tanto da farlo sembrare un vero “gigante” della politica, di cui la nostra Repubblica non potrebbe fare a meno. De Gasperi invitava i suoi a superare ogni forma di “mitologia politica” perché non esistono “uomini straordinari. Vi dirò di più, non ci sono uomini dentro il partito e fuori pari alla grandezza del problema che ci sta di fronte. Bisogna presentarsi dinanzi agli avvenimenti esterni ed interni con l’umiltà di riconoscere che essi superano la nostra misura”.
In sintesi la candidatura di Berlusconi ha messo nuovamente a nudo deficit etici e culturali che sono della classe dirigente come del semplice elettore. In Italia, sia i politici che i cittadini, sono da sempre, poco formati a pensare e agire politicamente. E in questo sembriamo, ad oggi, non aver fatto molti passi in avanti se ci sono ancora politici e cittadini che propongono candidati di dubbia maturità umana ed etica, come di scarsa competenza professionale.
Intanto il Paese aspetta un/una Presidente. L’attenzione eccessiva a Berlusconi, la mancanza di coraggio nel fare opposizione proponendo strategie, finalità e nomi presentabili, il ripetersi di vizi atavici e di politica di basso profilo non costituiscono una bella testimonianza del nostro Paese. La speranza? È come sempre in quelle brave persone, oneste e competenti, che sanno tessere relazioni e ottenere risultati, in un silenzio operoso e fruttifero, intessuto di fedeltà ai principi costituzionali e di dedizione al bene di tutti.