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Caro ministro Orlando, lasci stare il salario minimo. Firmato Bonanni

È giustissimo occuparsi del salario decoroso e dei fattori che lo insidiano, ma lo si faccia come si conviene. Il ministro del Lavoro si preoccupi da ora di condizionare il rispetto del salario giusto e pattuito nelle miriadi di appalti e lavori vari che si prevedono nell’imponente investimento del Pnrr

Ecco che nuovamente riemerge la suggestione di contrastare la piaga dei salari bassi con l’istituzione del salario minimo per legge. Ne ha riparlato il ministro del Lavoro Andrea Orlando in occasione del “Rapporto” ministeriale presentato sugli interventi e le misure di contrasto alla povertà lavorativa in Italia. Il rapporto ha proceduto alla ricognizione delle condizioni salariali più penose e ha indicato due possibilità da seguire per fronteggiare la situazione: o un salario minimo da stabilire per legge, oppure minimi salariali da stabilire contrattualmente fortificando le garanzie della rappresentatività di chi li stipula.

A corredo dell’intervento, si è proposto anche l’inserimento del “in work benefit”: una integrazione salariale erogata dal governo da affiancare eventualmente alla soluzione che si dovesse trovare tra le due elencate. Il tema è molto serio, e penso che sarebbe una beffa decidere sul da farsi con superficialità, solo perché vari Stati europei, con tanto di raccomandazione Ue, hanno già deciso per legge di istituire i minimi salariali di riferimento. Decidere per legge i minimi salariali è una beffa per i lavoratori, e difficilmente si giustificano già in alcuni Stati dell’Unione privi di contrattazione nazionale e conseguentemente sprovvisti di riferimenti ponderati e definiti dalle associazioni delle imprese e dei lavoratori.

Non si giustificherebbero assolutamente in Italia, che al contrario ha contratti nazionali liberamene pattuiti e sottoscritti tra le grandi associazioni del lavoro in ogni settore: industriale, agricolo, terziario e servizi, lavoro pubblico. I minimi salariali da loro stipulati nei Ccnl, proprio per la loro diffusione capillare in ogni settore lavorativo italiano, sono stati sempre stati riferimenti unici adottati dai giudici nell’emettere sentenze per fare giustizia a favore di lavoratori mal pagati da imprenditori scorretti. Va sottolineato che ormai i contenziosi sul salario in giudizio, comunemente, fanno riferimento ad una giurisprudenza consolidata (raro ormai in qualsiasi altro ambito), che rende il giudizio facile e veloce da emettere.

A rendere i giudizi agevoli contribuiscono anche i diversi pronunciamenti della Corte Costituzionale, che hanno legittimato i contratti nazionali collettivi stipulati dalle più rappresentative confederazioni del lavoro, in grado di inverare le indicazioni costituzionali dell’art. 36 sulle garanzie per “il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato dal lavoratore, sufficiente ad assicurare a se ed alla sua famiglia, una esistenza libera e dignitosa”. Ed allora perché il salario minimo in Italia, se i lavoratori in grandissima maggioranza sono sufficientemente garantiti? In Germania ad esempio che dispone solo di contrattazione aziendale al contrario degli italiani, il salario minimo è retribuito a 8,30 euro, e sono lordi.

Nei Paesi che hanno adottato il salario minimo di riferimento, s’intende come salario lordo: senza contribuzioni sociali, tredicesima, senza eventuali premi di produttività, tfr, sanità integrativa, formazione, senza alcun contratto. Insomma senza nulla! Se così fosse per l’Italia i lavoratori tornerebbero indietro più di un secolo. Dunque quali sono i vantaggi se non una sonora fregatura? Chissà poi del perché si omette di valutare la condizione degli unici lavoratori ora non sufficientemente tutelati come i cosiddetti parasubordinati, e ancor più le false partite iva.

Ecco, in tali casi un intervento legislativo potrebbe essere giustificato in assenza di contratti come sono molte partite iva che sono lavoratori dipendenti mascherati da autonomi, spesso ricattati dalle imprese che approfittano della loro necessità di avere un lavoro qualsiasi, utilizzando lo schermo della supposta “autonomia” che non li vincola al diritto del lavoro per i lavoratori dipendenti.

L’altro frangente riguarda il fenomeno comunque residuale dei contratti cosiddetti pirati, stipulati prevalentemente negli studi di alcuni commercialisti che usano sigle di associazioni padronali e di dipendenti senza alcuna rappresentatività. Il governo ed il parlamento farebbero bene ad intervenire su questi casi che le stesse Autorità pubbliche in questo ultimo quarto di secolo hanno permesso che si sviluppassero proprio per la loro assenza nella vigilanza e nella regolazione normativa.

Questo dunque è il perimetro di opportuno intervento; il resto resti nel governo autonomo delle grandi associazioni del lavoro, se non si volesse aggravare ancor più la penosa situazione salariale italiana che deriva dalla incuria dei fattori dello sviluppo, dalle tasse eccessive per i lavoratori ed imprese, dal sistema di istruzione e formazione inadatte per l’Italia dei servizi e produzioni, della giustizia farraginosa e lenta.

Insomma è giustissimo occuparsi del salario decoroso e dei fattori che lo insidiano, ma lo si faccia come si conviene. Il ministro Orlando, ad esempio, si preoccupi da ora di condizionare il rispetto del salario giusto e pattuito nelle miriadi di appalti e lavori vari che si prevedono nell’imponente investimento del Pnrr. Con le parti sociali definisca una strategia per proteggere la dignità del lavoro e la buona concorrenza tra le imprese. Lasci stare il palliativo del salario minimo, capace persino di peggiorare la situazione attuale.


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