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Riflessi internazionali della nomina del Presidente della Repubblica

L’esigenza di stabilità politica e istituzionale non è più ristretta ai confini nazionali, ma riguarda anche e soprattutto lo scenario internazionale. Stanislao Chimenti, partner dello studio internazionale Delfino Willkie Farr&Gallagher, spiega perché

Dopo giorni di stallo che rimandano a un passato non troppo lontano di scelte alquanto travagliate, sembra confermarsi che l’elezione del nuovo Presidente ponga temi per così dire tradizionali. Tali questioni, tuttavia, sulla base del naturale evolversi delle situazioni e del mutare dei tempi, assumono toni via via innovativi che oggi, improvvisamente, finiscono per porre questioni inedite nella storia della Repubblica.

Al novero delle questioni tradizionali va senz’altro ascritto il nodo del metodo di scelta del Presidente. È noto che in assemblea costituente prevalse il timore rappresentato dall’autoritarismo che il regime fascista aveva appena finito di incarnare. Venne pertanto disegnato un sistema parlamentare, non presidenzialista, senza elezione diretta, nel quale la figura del Capo dello Stato, nella mente dei padri costituenti, avrebbe dovuto assumere qualifiche eminentemente rappresentative. Interpretata in questo senso la carica, la storia delle elezioni presidenziali esibisce un metodo coerente con questa impostazione: nella cd. Prima Repubblica, anche per ragioni politiche contingenti, si accredita una prassi costituzionale che vuole il Presidente non essere quasi mai eletto tra i c.d. leader di partito, essendo invece eletto fra personalità che abbiano ricoperto altre cariche istituzionali, ovvero versino in una fase di coinvolgimento meno diretto nell’attività politica di parte.

La situazione si è però sensibilmente evoluta con l’avvento della cosiddetta Seconda Repubblica. Per un verso, l’accentuarsi del sistema bipolare ha evidenziato la necessità di una sintesi istituzionale che potesse mitigare i toni di un dibattito politico che spesso ha condotto al vero e proprio scontro; per altro verso, l’estrema instabilità politica, generata essenzialmente dal mancato accordo su una legge elettorale efficiente, ha naturalmente condotto ad accentuare il ruolo del Presidente quale carica in grado di verificare la possibilità di reperire maggioranze in Parlamento che, quand’anche diverse da quelle emerse dalle consultazioni elettorali, fossero comunque in grado di supportare un governo come previsto dalla Costituzione.

Oggi, tuttavia, si assiste a un fenomeno in parte nuovo: l’esigenza di stabilità politica e istituzionale non è più ristretta ai confini nazionali, ma è questione che riguarda anche e soprattutto lo scenario internazionale. Le ragioni sono intuibili e sono legate al grado di connessione ampia e profonda del sistema delle economie internazionali e allo stesso sistema di funzionamento dei mercati. Per limitarci agli aspetti più eclatanti, molti investitori, privati e non, detengono ampie quote del debito pubblico italiano: in questo contesto appare inevitabile che l’elezione del Capo dello Stato non rappresenti più un affare soltanto interno, quanto piuttosto uno snodo che svolge rilievo per investitori e soggetti che finiscono per percepire sé stessi come una sorta di stakeholder dai quali non è possibile prescindere.

In questo contesto generale non può allora sorprendere che l’elezione del Capo dello Stato assuma un rilievo forse mai visto: lo status quo appare chiaramente gradito ai mercati e sembra qualificarsi come una sorta di ottimo paretiano; di qui lo stallo a cui stiamo assistendo sulla ricerca di nuovi equilibri e nuove soluzioni. Il senso di responsabilità deve, o dovrebbe condurre a una visione pragmatica e realistica della situazione di fatto: il mondo moderno è fatto di connessioni profonde come la crisi pandemica non cessa di mostrarci. Accogliendo questa visione l’Italia non può considerarsi un sistema del tutto avulso dal contesto complessivo. La vicenda del PNRR appare esemplare: il Paese ha goduto di consistenti finanziamenti e agevolazioni che però sono necessariamente connesse con il varo di precise riforme. Un quadro politico instabile o comunque non in grado di garantire la realizzazione di tali riforme legittimerebbe la loro revoca, con tutto ciò che da questo scenario conseguirebbe.

Ma la riflessione può spingersi più in là. A ben vedere, emerge un’esigenza nuova: quella della credibilità internazionale che ogni Capo dello Stato deve godere nell’interesse del suo Paese e del sistema sovranazionale di cui esso fa parte (nel nostro caso, in primo luogo, il sistema dell’Unione europea, ma il discorso resta valido anche in rapporto ai paesi extraeuropei).

Ma allora, nel nostro ordinamento, in cui il Capo dello Stato non coincide con il primo ministro ed è comunque privo di poteri di governo, la credibilità internazionale del Presidente della Repubblica deve misurarsi, anzitutto, proprio nel rapporto con il presidente del Consiglio (e, di riflesso, con il governo tutto). Se è vero che il presidente del Consiglio deve avere un programma di governo, nella situazione attuale non è men vero che il Capo dello Stato debba predisporre e attuare un programma, per così dire “istituzionale” e, se è lecita l’espressione, “di Paese”; un’azione di collaborazione e supporto che, proprio in virtù del rispetto del suo ruolo di “garante della Costituzione”, sia coerente con il programma più vasto di stabilità e credibilità del Paese.

Si tratta così di superare la visione che, in passato, aveva fatto parlare di “funzione notarile” del Presidente della Repubblica.

Nel quadro attuale l’analisi deve necessariamente allargarsi: la scelta del Capo dello Stato è e rimane una valutazione eminentemente politica e ben può darsi che in quest’ottica, e nell’interesse del Paese, la scelta dei cosiddetti grandi elettori debba cadere su una persona che sia in grado di interpretare il ruolo e ricoprire la carica bensì nel rispetto della Costituzione, ma anche tenuto conto dell’evolversi dei tempi.

La questione potrà infine porsi in modo più compiuto e sviluppato se, in un futuro che per ora appare difficile immaginare, venga varata una riforma costituzionale di matrice presidenzialista e con elezione diretta del Capo dello Stato che superi il sistema pensato dai padri costituenti del 1948.

Il dibattito, anche sotto questo profilo, appare del tutto aperto.

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