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Dopo l’elezione, come riparare il disastro dei partiti? Il mosaico di Fusi

A questo punto la conferma di Mattarella sarebbe per Draghi la condizione migliore. Ma se metti in freezer un cibo che si è guastato non è che quando lo tiri fuori torna per forza commestibile. Tra emergenza Covid e Pnrr andare a votare sarebbe un vero suicidio. Ma lo spettacolo di questa settimana non lo esclude

E ora, mentre continua il mesto pellegrinaggio delle schede bianche, chi raccoglierà i cocci? In questi giorni i Grandi Elettori un presidente della Repubblica lo dovranno votare: stanno lì per questo e sono obbligati a farlo. Ma chi sarà in grado di rassodare il terreno dei rapporti tra partiti, di sgombrare i veleni sparsi in giorni di inutili scrutini, di sanificare il virus della velleità perverse e delle leadership fortemente ostentate ma inesorabilmente nullificatrici?

Chissà. Viene da dire nessuno, ma così l’Italia affonda. Lo spettacolo messo in mostra in questa settimana nel catino del Transatlantico è stato, bisogna dirlo, avvilente. Invece di partire da ciò che di buono è stato fatto nell’ultimo anno, cioè l’aggregazione di una larga maggioranza al comando di una personalità che l’Europa, a stare stretti, ci invidia, le forze politiche e i capipartito hanno giocato a farsi gli sgambetti l’un l’altro, a immaginare intese per poi dismetterle con sconcertante disinvoltura, a lanciare nomi di personaggi eccellenti per poi bruciarli nel falò della inconcludenza.

La salvaguardia della maggioranza di governo, visto che manca un anno e più alla scadenza naturale della legislatura, era un must politico ed è invece diventata un palla che i partiti si sono rimbalzati l’un l’altro, con buona dose di irresponsabilità. E Mario Draghi, ciambella di salvataggio di un Paese lacerato e in crisi di sistema, si è accorto dei tanti tentativi di ridimensionarlo o perfino umiliarlo in nome di uno sconcertante “primato della politica” che altro non è che coagulo di rancori ed ambizioni: nulla a che vedere con gli interessi profondi degli italiani.

Adesso come extrema ratio torna in ballo il nome di Sergio Mattarella, dopo che il capo dello Stato ha ribadito più volte di non essere disponibile. E’ il segno della disperazione di una classe politica che  in processione sul Colle porterebbe le stimmate dell’incapacità.

Qualcuno sfoglia l’album dei ricordi e si ferma sulla foto del bis di Giorgio Napolitano per giustificare l’appello a Mattarella di rimanere. Ma allora fu un colpo gravissimo alle istituzioni, figlio del terremoto elettorale che a inizio legislatura aveva distrutto vent’anni di bipolarismo e visto affacciarsi il M5S come portatore di istanze distruttrici e palingenetiche. Adesso nulla di tutto ciò è visibile. Nella larga maggioranza ci stanno partiti della Prima repubblica, della Seconda e, comodamente assisi, perfino i rappresentanti di quell’onda travolgente che voleva aprire il Parlamento “come una scatoletta di tonno” e si sono ritrovati con l’attrezzo arrugginito e inservibile.

Oggi o domani i Grandi Elettori scriveranno un nome sulla scheda e torneranno alle loro occupazioni, ma rimettere in sesto una maggioranza che si è sfarinata nel passaggio più importante non sarà facile e anzi rischia di diventare impossibile.  Perché il morbo della disintegrazione dal Transatlantico si è trasferito nel cuore degli schieramenti. Proprio così: centrodestra e centrosinistra hanno dimostrato di essere nient’altro che involucri dilaniati al loro interno dalla conflittualità; etichette da vendere agli elettori con data di scadenza già superata.

Il centrodestra si è schiantato sul nome di Elisabetta Casellati e sulle ambiguità del duo SalviniMeloni con il primo pronto a rilanciare l’asse gialloverde con Conte. Mosse di chiaro sapore elettorale: sbocco che FdI persegue con determinazione e che alla fine ha risucchiato anche il capo leghista, la cui lucidità è andata via via scemando. Il centrosinistra non è stato da meno. E’ risultato il perimetro dei sospetti e degli sgambetti, con la leadership di Conte continuamente messa in discussione e l’impossibilità di Letta di mettere in campo un proprio candidato, costretto sempre a inseguire quelli degli altri, per bocciarli.

Immaginare che un simile coagulo di malmostosità torni dalla prossima settimana a lavorare assieme come se nulla fosse stato, è inverosimile.

Anche l’immagine di Mario Draghi ne risulta pericolosamente ridimensionata. Presidente da tutti considerato assolutamente essenziale e inamovibile ma bollato da un gigantesco “vade retro” dall’asse Conte-Berlusconi-Salvini per il trasloco sul Colle. In realtà toccherebbe a lui rincollare i cocci della governabilità andata in fumo. La conferma di Mattarella è per il premier la condizione migliore. Ma se metti in freezer un cibo che si è guastato non è che quando lo tiri fuori torna per forza commestibile. C’è l’emergenza Covid da affrontare e il Pnrr da “mettere a terra”. Andare a votare in queste condizioni togliendo di mezzo il presidente del Consiglio rappresenterebbe un vero suicidio. Però com’è noto gli dei accecano chi non vuole vedere.

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