Skip to main content

Dal mattone ai Giochi. Così il debito cinese affossa le Olimpiadi

Nemmeno il tempo di cominciare le gare che il grosso delle società coinvolte nell’organizzazione dei Giochi, nelle province di montagna, già annaspa. Troppi investimenti a fronte di scarse entrate. Un film già visto con Evergrande&Co, ma ora c’è di mezzo un evento planetario. Forse anche per questo Pechino potrebbe presto eliminare il mattone dall’elenco dei motori dell’economia

Non è Omicron, non è Delta ma poco ci manca. C’è un virus che da tempo tiene sotto scacco la seconda economia globale, imprigionandola nella crescita anemica e nella sfiducia dei mercati. Il debito continua a mietere vittime in Cina, nonostante le autorità finanziarie si affannino a rassicurare il mondo circa la tenuta dell’economia del Dragone. Stavolta non ci sono di mezzo i giganti del mattone in agonia, proprio per il vizio del debito. Non c’è un nuovo caso Evergrande. Forse è peggio, il bubbone riguarda le imminenti Olimpiadi invernali di Pechino, l’evento sportivo più importante degli ultimi 15 anni in cina.

Che le Olimpiadi siano da sempre fonte di debito è cosa nota, la Grecia è finita nel baratro anche per causa delle spese per la rassegna del 2004, condite con una buona dose di trucchi sui conti pubblici e un sistema previdenziale insostenibile. Ma in Cina sono riusciti ad arrivare a un passo dal crack prima dell’inizio delle gare. Tutto parte dalla provincia di Chongli, uno degli scenari montani delle competizioni, le cui società in loco, molte delle quali gestori degli impianti di risalita e dei tracciati di gara, stanno affrontando gravi problemi finanziari, a causa dell’enorme mole di investimenti sostenuti per la preparazione dei Giochi invernali.

Nella regione ci sono già le prime avvisaglie di insolvenze, tra piccoli esercizi commerciali e società per la gestione delle infrastrutture. “Le Olimpiadi ci hanno inferto un duro colpo”, ha detto Daniel Li, imprenditore e commerciante che gestisce un negozio di attrezzature da sci vicino al Genting Snow Park, una delle sedi delle Olimpiadi invernali, al Financial Times. Li, che ha lasciato la contea di Chongli questo mese per cercare lavoro, sta lottando per pagare l’affitto annuale di 2oo mila yuan per il suo negozio di attrezzature da sci. E c’è lo zampino anche della strategia zero-Covid, ancora una volta rivelatasi fallimentare.

“La stagione sciistica, sulla quale facciamo affidamento per vivere, è terminata in anticipo a causa della politica del governo e non abbiamo ricevuto alcuna compensazione per il nostro sacrificio”. Dopo che Pechino ha lanciato la sua candidatura per le Olimpiadi invernali con Chongli nel 2013, la spesa fiscale annuale della regione è più che triplicata fino a un picco di 3,6 miliardi di yuan nel 2019. Al contrario, le entrate fiscali sono aumentate di meno di due terzi a 572 milioni di yuan nello stesso periodo. Basta fare un rapido calcolo.

E pensare che mentre il debito contagia anche le Olimpiadi di Pechino, la Cina potrebbe decidere di declassare il comparto immobiliare, origine del grande male del Dragone, dal novero dei motori dell’economia. Oggi il mattone vale il 25% del Pil nazionale, ed è per questo che la sua crisi impatta in modo devastante sulla crescita. Ma un report dell’Ispi prova a mettere le mani avanti e a immaginare un futuro senza immobiliare.

“Il 14° piano quinquennale emesso dal Comitato centrale del Pcc nel novembre 2020 ha menzionato il possibile taglio del nesso immobiliare-finanza”, è la premessa. “Ad un livello superiore, sembra improbabile che la prospettiva di un regime guidato dall’immobiliare in Cina, come previsto almeno dal 2009, possa durare nel lungo periodo. D’altra parte, la percentuale della popolazione cinese che vive nelle città era solo del 60,6% nel 2019 e c’è ancora molto potenziale strutturale per un’ulteriore urbanizzazione. Il settore immobiliare può quindi avere ancora un ruolo di primo piano nello stabilizzare la crescita dell’economia aggregata per le sue strette connessioni con altri settori, ma è improbabile che continui a fungere da motore economico”. Fine di un’era?

×

Iscriviti alla newsletter