Uno dei poteri della lobby è quello di uniformare governi e leggi meglio di qualsiasi indice di globalizzazione. Due Paesi lontani anni luce per cultura democratica, qualità delle istituzioni, trasparenza e senso civico – l’Italia e il Regno Unito – si trovano in condizioni più o meno identiche dal punto di vista delle regole da dare alle lobbies.
La situazione italiana la conosciamo tutti. Quella inglese è meno nota. Non servono grandi sforzi di immaginazione, è molto simile alla nostra. Abbiamo le dichiarazioni dei vertici politici sulla necessità di dar regole ai lobbisti (“the next scandal waiting to happen”, ve lo ricordate? Qui). Abbiamo un tentativo di autoregolamentazione degli addetti ai lavori (il Consiglio Uk dei public affairs) che sconta le stesse lacune di qualsiasi associazione: quello che dice vale solo per gli iscritti (pochi e non rappresentativi). Abbiamo un senso di sfiducia crescente dei cittadini verso i partiti (l’ultimo rapporto di Transparency International dice che per il 90% degli inglesi i partiti sono corrotti e perseguono interessi di parte). Abbiamo un dibattito pubblico niente male (Qui l’ultimo intervento sull’Huffington Post, da leggere).
E ovviamente abbiamo un tentativo di regolazione che stagna. Non fa passi avanti né indietro, ostruito da potentati, interessi politici e industriali. La novità rispetto a noi è che gli inglesi hanno lanciato una consultazione pubblica sul tema. La novità, per capirci, non sta nella consultazione pubblica, strumento di cui si abusa un po’ troppo ultimamente (l’Istituto Bruno Leoni l’ha definita scherzosamente “la democrazia del quiz da spiaggia” – Qui un commento). Sta nel fatto che la consultazione riguarda il lobbying. Esperimento che non mi risulta sia stato mai tentato in Italia.
La consultazione la trovate Qui. Si avvicina a conclusione. Il 31 luglio sarà l’ultimo giorno. Si tratta di poche domande, alcune (la minoranza) con risposte predefinite. Altre invece a risposta aperta. Molte sono domande generaliste (“pensi che le regole attuali siano sufficienti?”, oppure “credi che introdurre sanzioni serva a qualcosa”?). Altre (poche per la verità) toccano aspetti più complessi. Per esempio l’ultima domanda, che chiede un’opinione sui limiti alla disclosure da imporre agli operatori del settore.
Aspettiamo la conclusione della consultazione per sapere cosa ne pensano i partecipanti. La aspettiamo con 3 perplessità. Primo: tutte quelle possibili sulle consultazioni online. Strumento prezioso di democrazia partecipativa online, ma anche molto poco incisivo. Il caso europeo insegna. Secondo: ci sono tutti gli elementi per pensare in un tentativo di prendere tempo. Il governo inglese (come quello italiano) dispone di tutte le informazioni necessarie per intervenire sul tema. C’è davvero bisogno di altro? Terzo: è utile ricordare che riformare le lobby – da sole – non serve a nulla. La riforma dev’essere integrale, del sistema istituzionale. Altrimenti è una presa in giro. E fa la fine che ha fatto il DDL italiano. Impallinato.