Il ministro delle finanze tedesco sbarca a Roma mentre la struttura fiscale dell’Ue è di nuovo sotto i riflettori. Heimberger (Istituto per gli studi economici internazionali di Vienna) crede sia il momento di imparare dalla crisi finanziaria ed evitare di soffocare la crescita quando è più necessaria. Ecco come (e perché) l’Ue dovrebbe riformare le sue regole fiscali, e qual è il ruolo della Germania
Un “falco amichevole” è atterrato a Roma. Christian Lindner, leader dei liberaldemocratici tedeschi e ministro delle finanze nel neonato governo federale, è volato nella capitale per un incontro di alto livello con i membri dell’esecutivo italiano.
La sua visita segue quella del ministro degli Esteri Annalena Baerbock e segnala che Roma e Berlino stanno aumentando i loro sforzi di cooperazione. Lindner, che gli italiani hanno a lungo visto come un profeta dell’austerità, ora sta abbracciando toni più lassisti (forse) così come il suo governo, guidato dal cancelliere Olaf Scholz.
Il ministro delle finanze tedesco incontrerà il suo omologo Daniele Franco. I due parleranno dei dossier-chiave che interessano Germania, Italia e l’Unione europea. Tra tutti campeggia la riscrittura delle regole fiscali europee, materia in cui la direzione del nuovo governo tedesco avrà un impatto sproporzionato.
Così Formiche.net ha raggiunto Philipp Heimberger, economista presso l’Istituto di Vienna per gli studi economici internazionali, specializzato in fiscalità europea, che ha tratto le somme degli ultimi anni e tracciato una strada per il futuro.
Dottor Heimberger, vede Berlino convergere sulla linea di Parigi e Roma sulle regole di bilancio dell’Ue?
Il tono dei politici tedeschi nel nuovo governo potrebbe essere un po’ più amichevole, ma non si dovrebbe confondere con un cambiamento fondamentale nella posizione tedesca sulla politica fiscale e regole fiscali dell’Ue. Lo stesso Lindner dice che rimane un “falco amichevole”, il che significa che continuerà ad enfatizzare la disciplina di bilancio e a ripetere la sua posizione: le regole fiscali dell’Ue si sono dimostrate flessibili. Questa linea è coerente con la formulazione del trattato di coalizione del suo governo. Oggi, tuttavia, c’è probabilmente più apertura per un compromesso pragmatico. Finché si riesce a venderlo alla base politica in Germania, che rimane a favore dell’austerità.
Chi sarebbe in grado di cambiare l’equilibrio in Europa?
Draghi e Macron lavoreranno insieme per riformare le regole fiscali dell’Ue. Hanno scritto un editoriale congiunto sul Financial Times sulla necessità della riforma, che era già urgente prima dell’inizio della pandemia. Soprattutto, hanno sottolineato la necessità di incentivare più investimenti pubblici (verdi).
Entrambi sono dei pesi massimi politici che sostengono la necessità di una riforma fiscale, ma ci sono ancora incertezze. Per esempio, dati gli altri dossier politici europei e le elezioni che deve vincere quest’anno, dove saranno davvero le regole fiscali nella lista delle priorità di Macron?
In ogni caso, i recenti sviluppi in Italia – Mattarella rieletto e Draghi rimasto premier – senza dubbio pesano sul dibattito sulle regole fiscali dell’Ue. L’ex Bce ha molto peso europeo, a Francoforte come a Bruxelles; vedremo come vorrà usarlo.
Come crede che agirà Berlino?
Se la Germania si unisse a Francia e Italia nel riformare le regole dell’Ue, cambierebbero i giochi. Ma un’alleanza naturale rimane improbabile, dato che gli interessi dei governi sono diversi. Roma e Parigi hanno un rapporto debito pubblico/Pil molto più alto e avrebbero molte più difficoltà a soddisfare i requisiti di un quadro normativo fiscale poco riformato.
Tuttavia, il nuovo governo tedesco ha un programma di investimenti più ambizioso rispetto al passato, specialmente in tema di infrastrutture e clima. Questi piani d’investimento devono essere coerenti con le regole fiscali a livello interno (il “freno al debito”) ed europeo. L’accordo di coalizione tedesco prevede una valutazione sui dettagli tecnici del freno al debito costituzionale, con un potenziale di riforma pragmatica, senza imporre divieti sulla riforma delle regole fiscali dell’Ue.
A ogni modo, non dovremmo essere troppo ottimisti sul ruolo della Germania. Specialmente i liberaldemocratici hanno molto da perdere se si mostrano troppo morbidi sulle richieste di flessibilizzazione fiscale. Soprattutto dopo una dura campagna elettorale sulla disciplina di bilancio e sul rispetto delle regole esistenti.
Riscrivere le regole europee comporterebbe la riforma del trattato di Maastricht. Lo esclude? O crede che possa essere aggirato reinterpretando il testo attuale?
La riforma del trattato non è realistica. Date le attuali costellazioni politiche, il limite del debito del 60% e il limite del deficit del 3% (rispetto al Pil, ndr) probabilmente non verranno rivisti. Ma c’è molto spazio di manovra senza dover mettere mano al trattato.
La Commissione europea potrebbe usare i suoi poteri interpretativi per aumentare ulteriormente la flessibilità. La legislazione secondaria – come i dettagli delle sezioni preventive e correttive del Patto di stabilità e crescita – potrebbe essere cambiata. Ci sono molti dettagli tecnici grazie ai quali Paesi come l’Italia potrebbero guadagnare molto spazio di manovra.
Nel concreto, il percorso di aggiustamento fiscale potrebbe essere reso meno severo ammorbidendo le regole di riduzione del debito. Si potrebbero prevedere esenzioni più generose quando l’economia rallenta (e il mercato del lavoro continua a mostrare un potenziale di ripresa). Si potrebbe anche pensare a un grande bonus quando il governo intraprende importanti investimenti pubblici legati al clima.
Qual è la sua opinione sull’architettura fiscale dell’Ue?
Le attuali regole fiscali sono caratterizzate da un bias prociclico (che accentua le normali fluttuazioni di un ciclo economico, ndr). Questo bias è stato particolarmente pronunciato durante gli anni di austerità, dal 2010 in poi. La loro applicazione in diversi Paesi membri, tra cui l’Italia, ha contribuito ad approfondire e prolungare inutilmente le recessioni economiche. Questo ha portato a difficoltà sociali non necessarie e conseguenze politiche non volute; all’indomani della crisi finanziaria è aumentata la polarizzazione politica, sullo sfondo di politiche fiscali eccessivamente rigide.
Spesso le regole fiscali dell’Ue richiedono ai Paesi in crisi tagli alla spesa pubblica e aumenti delle tasse nel momento sbagliato. Queste misure soffocano l’economia, dunque contrastano anche una riduzione degli aumenti del debito pubblico legati alla crisi, da raggiungere con una maggiore crescita economica.
Quindi, come si ottiene una crescita sostenibile?
In questa fase, gli Stati membri non sono d’accordo su ciò che vogliono ottenere con la riforma delle regole fiscali dell’Ue. Anzitutto, è qui che serve lottare per una maggiore chiarezza.
L’obiettivo principale della riforma delle regole fiscali dovrebbe essere l’eliminazione del bias prociclico. I dettagli tecnici sono di grande rilevanza politica: le variabili fiscali corrette per il ciclo economico (basate sull’idea di correggere i saldi fiscali nominali secondo l’effetto del ciclo sulle entrate e le spese pubbliche) sono cruciali per gli obiettivi di bilancio a medio termine dei Paesi membri.
Le distorsioni nella stima di queste variabili hanno promosso politiche fiscali procicliche controproducenti. Qualunque siano le riforme finali nei dettagli, abbiamo urgente bisogno di risolvere i problemi tecnici sottostanti, che implicano una tendenza a rivedere al ribasso lo spazio fiscale dei Paesi membri in tempi di stress economico.
E poi?
Il secondo grande obiettivo dovrebbe essere quello di permettere più investimenti pubblici. Questo è essenziale per consentire ai governi di stabilizzare l’economia nel breve e medio termine e affrontare con successo le sfide a lungo termine, come il cambiamento climatico e la digitalizzazione.
Sfortunatamente, le regole fiscali attuali non distinguono adeguatamente tra le spese di investimento e non. Perciò, in tempi di stress economico, non sono riuscite a proteggere gli investimenti pubblici, che nell’ultimo decennio sono diminuiti drasticamente in diversi Paesi Ue. I governi possono cancellare rapidamente i progetti di investimento, o metterli in secondo piano, mentre le pressioni di austerità aumentano.
Ha tratto qualche lezione fiscale dal periodo pandemico?
La pandemia ha mostrato quanto sia importante la politica fiscale per stabilizzare l’economia. I massicci deficit fiscali nel 2020 (e in misura minore nel 2021) hanno avuto molto successo. Finora l’economia europea ha superato la crisi indotta dalla pandemia molto meglio della crisi finanziaria. La politica fiscale è stata autorizzata a rispondere con più forza, sia a livello interno che europeo.
L’economia italiana, come altre, si sarebbe contratta molto di più se non avessimo disattivato le regole fiscali dell’Ue per permettere ai governi di spendere molto emettendo titoli di Stato. La sostenibilità fiscale è migliorata perché i deficit sono stati gestiti in tal senso. Oggi i rapporti debito pubblico/Pil sarebbero ancora più alti se la politica fiscale non fosse stata usata per prevenire il collasso del settore privato, specialmente nelle prime fasi della pandemia. Anche il piano Next Generation EU è stato un passo importante per stabilizzare aspettative e mercati finanziari e fornire impulsi di spesa per i prossimi anni.
Vede rischi per il futuro?
I politici potrebbero ripetere gli errori che hanno fatto all’indomani della crisi finanziaria, dal 2010 in poi, quando un consolidamento fiscale prematuro ed eccessivo ha minato la ripresa economica. Non possiamo permetterlo di nuovo: causerebbe problemi politici in Italia come altrove e farebbe a pezzi l’eurozona nel futuro prossimo.
Tutti i paesi dell’Ue devono considerare gli effetti domino negativi. Compresa la Germania e i cosiddetti “frugali”, come l’Austria e i Paesi Bassi, che dipendono dalle esportazioni e sono fortemente legati agli altri Paesi membri a causa delle loro strutture industriali. In questo contesto, anche loro hanno interesse a concordare una riforma delle regole fiscali europee.
(Foto: profilo Twitter dell’ambasciata tedesca in Italia)