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Legati ma non troppo. Salvini e la via alle urne

Rintronato ma non abbattuto. Il segretario della Lega Salvini ha incassato il consenso del consiglio federale ed è attivo come non mai (anche in quarantena). Dal 31 marzo ripartono i congressi cittadini e riaffiorano i malumori al Nord. Mentre nel centrodestra..

Di lotta e di governo. La ripartenza della Lega dopo il can-can Quirinale passa da questo difficile equilibrio. Un anno – tanto manca alle politiche – non passerà in fretta. Uno strappo prematuro con il governo aprirebbe un caso nel partito con chi, specie i governatori del Nord, preferisce il pragmatismo alle montagne russe. Un atteggiamento troppo remissivo rischia di presentare un conto salato alle urne, dove una barricadera Giorgia Meloni, sola all’opposizione e decisa a prendere il timone della destra italiana, promette di fare en plein.

La strada è lunga e scoscesa. Fra tutti gli appuntamenti, pesa come un macigno la riforma elettorale proporzionale, il vero cruccio di quest’ultimo miglio di legislatura: un via libera dei leghisti potrebbe infatti complicare la ricucitura con Fratelli d’Italia. Nel frattempo a via Bellerio si ragiona giorno per giorno.

Matteo Salvini, ora costretto a uno stop forzato perché risultato positivo al Covid, non si è fermato un attimo dalla corrida per il Colle. I sondaggi non sorridono: secondo l’ultimo di Swg, la Lega ha perso quasi un punto arretrando al 17,5% a fronte del 20,5% di Fdi, secondo partito alle calcagna del Pd. Ecco perché adagiarsi senza se e ma alla linea Draghi semplicemente non è un’opzione.

Di qui la strategia del “pungolo”, inaugurata con un Cdm disertato dai ministri leghisti per non votare il decreto sulle riaperture. Poi ancora il documento, sottoscritto dai colonnelli del partito nel Consiglio federale, che impegna il governo a non alzare tasse e bollette.

Salvini esce rintronato, ma non davvero indebolito dal caos intorno al Quirinale. Ancora una volta ha incassato il sostegno del partito al federale, dove ha promesso una cabina di regia allargata a tutti i “big”. Che uno ad uno, dal governatore del Veneto Luca Zaia all’amico e consigliere Giancarlo Giorgetti, gli hanno ribadito fiducia. Nella consapevolezza, spiega un dirigente, che oggi nessuno possa o voglia davvero sfidare Salvini per la leadership. Certo i malcontenti non mancano.

Il vero pomo della discordia è di nuovo la gestione della pandemia. Dai sindaci ai governatori passando per i commissari non c’è una linea unanime, tra chi tifa per la fermezza e chi critica il segretario per la troppa prudenza. Resta poi da sciogliere il nodo delle assemblee e dei congressi. Il Covid è una vera palla al piede per un partito che vive di comizi, riunioni e incontri dal vivo e molto allergico alle dirette Zoom. Per colpa del virus è saltato il maxi-congresso promesso da Salvini a dicembre con il plenum del Carroccio.

Con gli europarlamentari il segretario si è sentito mercoledì. Una chiamata “tecnica”, la definiscono da dentro il gruppo guidato da Marco Zanni, ma con una chiara indicazione politica. Evitare scontri o tensioni con il gruppo dei conservatori presieduto dalla Meloni, in attesa che la matassa sovranista a Bruxelles trovi una sua definizione prima che finisca la legislatura.

Dal 31 marzo ripartiranno i congressi cittadini, sospesi per la pandemia con una circolare di Roberto Calderoli. Sarà poi il turno dei congressi provinciali e regionali, con una catena che dovrebbe portare entro la fine dell’anno, salvo nuovi imprevisti, al congresso federale. Qui riaffioreranno inevitabilmente i malumori di un’ala non secondaria del partito al Nord.

Se in Veneto il malcontento non esce dagli argini – in perfetta linea con il “metodo Zaia” – è in Lombardia che si agitano le truppe, specie quelle che fanno capo al potente ex segretario della Lega Lombarda Paolo Grimoldi.

Quanto agli alleati, Salvini è al lavoro per ricucire lo strappo post-Colle. Ci vorrà tempo. È caduta nel vuoto per il momento la proposta del segretario – lanciata a mo’ di frisbee la settimana dopo il voto ­– di una “federazione repubblicana” del centrodestra. Doccia gelata dell’azzurra Licia Ronzulli, per la fusione serve accertare “una condivisione di valori”. È perfino “innaturale” per la Meloni. Ormai decisa a proseguire da sola, no matter what.


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