Una fotografia storica del risveglio del colosso asiatico e l’arrivo del capitalismo occidentale, spiegati dal prof. Giancarlo Elia Valori
Il risveglio cinese è stato uno degli eventi centrali della storia del sec. XX. Nel penultimo decennio del sec. XIX in Cina penetrò il capitalismo occidentale: i prodotti industriali a buon mercato danneggiarono l’artigianato e le industrie locali. Decadenza sociale e miseria crescente furono aggravate da carestie e inondazioni nei territori rurali riccamente popolati. Nelle città portuali in espansione si formò un proletariato e un’intelligencija rivoluzionari. La opera di traduttori come Yan Fu (1854-1921) mise a contatto gli intellettuali cinesi col pensiero moderno e contemporaneo occidentale.
Uomini di Stato quali Kang Youwei (1858-1927) e Liang Qichao (1873-1929) influenzarono l’imperatore Guangxu (i. 1875-1908). Contro le sue riforme si ebbe, il 21 settembre 1898, il colpo di Stato reazionario dell’imperatrice vedova Cixi (regg. 1861-1908), zia dell’imperatore, che pose fine alla Riforma dei Cento Giorni. L’imperatore fu posto agli arresti domiciliari, i riformatori giustiziati e venne favorito il movimento xenofobo dei boxer.
La pressione straniera e l’impotenza politica interna indussero nel 1905 ad abolire l’antico sistema fondato sugli esami statali per l’ammissione agli uffici pubblici e al rinnovamento e ammodernamento della difesa, diretto dal gen. Yuan Shikai (1859-1916). Le potenze occidentali, Italia compresa, intervennero negli affari interni cinesi.
Il 20 agosto 1905 il medico Sun Zhongshan (Sun Yat-sen, 1866-1925) fondò a Tokyo, l’Alleanza Rivoluzionaria Cinese (Tongmenghui) un movimento che nel suo programma prevedeva i tre principi del popolo: unità del popolo (nazionalismo), diritti del popolo (democrazia), benessere del popolo (socialismo); esso fu diffuso dai cinesi all’estero, da studenti e scuole missionarie, e si estese in tutta la madrepatria. Il 10 ottobre 1911, il giusto insieme di condizioni trasformò una rivolta a Wuchang nella Rivoluzione Cinese. Per rimediare le perdite, la corte Qing rispose positivamente a una serie di richieste volte a trasformare il dominio imperiale autoritario in una monarchia costituzionale. Fu chiamato Yuan Shikai a nuovo primo ministro, ma prima che fosse in grado di riprendere le zone conquistate dai rivoluzionari, le province iniziarono a dichiarare la loro fedeltà all’ARC. Sun Zhongshan, al momento della sollevazione, era negli Stati Uniti d’America per un viaggio di raccolta fondi. Si diresse prima a Londra e poi a Parigi per garantire che nessuno dei due Paesi desse sostegno finanziario o militare al governo della dinastia mancese dei Qing (1644-1912). Sun Zhongshan tornò poco dopo in Cina. I rivoluzionari, nel frattempo, avevano preso Nanchino, antica capitale della dinastia cinese Ming (1368-1644).
I delegati di diciassette province giunsero per la prima Assemblea Nazionale, che il 29 novembre 1911 elesse Sun Zhongshan, presidente provvisorio. Il 1° gennaio 1912, egli proclamò la Repubblica della Cina. Il Cielo aveva ritirato il mandato ai Qing.
La reazione internazionale alla rivoluzione fu cauta. I Paesi con investimenti in Cina durante la sollevazione restarono neutrali, pur ansiosi di tutelare i diritti dei trattati iniqui conseguiti con i Qing attraverso la Prima e la Seconda guerra dell’oppio. Tuttavia, gli Stati Uniti d’America erano in gran parte favorevoli al progetto repubblicano, e nel 1913, Washington fu fra le prime capitali a stabilire piene relazioni diplomatiche con la nuova repubblica. Seguirono: Regno Unito, Impero giapponese, Impero russo, ecc.
Sun telegrafò a Yuan Shikai, promettendogli che, se avesse accettato la formazione della repubblica, la carica di presidente sarebbe stata sua. Ciò per guadagnare l’elemento militare alla causa dell’unità nazionale. Yuan Shikai accetto, costringendo la corte a conferirgli l’autorità per costituire un governo repubblicano, stabilendo il 12 febbraio 1912 l’abdicazione dell’imperatore seienne Pu Yi (poi imperatore dello Stato fantoccio pronipponico del Manciukuò dal 1934 al 1945). Poi vedremo perché Yuan ebbe bisogno del “permesso continuativo”.
Nel frattempo la Mongolia esterna (l’attuale Stato) aveva dichiarato la propria indipendenza (luglio 1911), e pure il Tibet (1912), riconosciuta attraverso il trattato iniquo di Simla (3 luglio 1914). Pur se il nuovo governo creò la repubblica non unificò il Paese sotto il proprio controllo. Il ritiro dei Qing condusse ad un vuoto di potere in alcune regioni. Il 25 agosto 1912 Sun Zhongshan e Song Jiaoren (n. 1882) fondarono il Guomindang (Partito Nazionalista), derivato dall’ARC. Alle elezioni del dicembre 1912-gennaio 1913 (a cui partecipò il 5% della popolazione cinese), il GMD ottenne il 45,06% dei seggi dell’Assemblea Nazionale.
Yuan Shikai probabilmente fece assassinare il 22 marzo 1913 Song Jiaoren; in seguito, appoggiandosi a 223/870 membri dell’AN (che avevano formato il Partito Progressista, Jinbudang), destituì i governatori provinciali del GMD, o li costrinse a giurare fedeltà. Seguì la Seconda Rivoluzione (luglio-settembre 1913), soffocata dal governo.
Il 20 novembre 1915, fu dichiarata la fine della Repubblica di Cina e il ritorno dell’impero. Il 12 dicembre 1915, Yuan si proclamò imperatore con il nome di Hongxian. Già il 25 dicembre 1915, si manifestarono disapprovazione pubblica e avversione popolare contro l’istituto monarchico. Il Giappone ritirò l’appoggio al prono Yuan; alcune province, sotto la guida del governatore dello Yunnan, Cai E (1882-1916), si ribellarono al nuovo imperatore, che rinunciò alla cerimonia d’insediamento e rinunziò al titolo il 22 marzo 1916; defunse il successivo 6 giugno.
La Cina il 14 agosto 1917 entrò nella Prima guerra mondiale, dichiarando guerra alla Germania; subito occupò Qingdao, la più grande base navale tedesca all’estero, situata sulla penisola dello Shandong. La scomparsa di Yuan Shikai peggiorò la crisi cinese, portando avanti il processo di frammentazione territoriale. La questione che i governatori delle province, fossero militari e controllassero direttamente i propri eserciti pose le basi al periodo dei signori della guerra. Tali “feudatari” spesso amministravano i loro territori senza riconoscere il governo in carica. I numerosi generali dell’esercito settentrionale, cercavano di porre sotto la propria egida l’esecutivo di Pechino. D’altro canto, le ingerenze degli Stati – che avevano nelle proprie mani le finanze governative, riscuotendo direttamente i dazi doganali, e concedendoli man mano al governo riconosciuto “legittimo” dopo la detrazione di indennità e interessi – aggravarono i sanguinosi conflitti interni. Ogni potenza desiderava imporre la propria autorità nella Cina a detrimento degli altri stranieri, e per tale ragione sosteneva l’uno o l’altro dei differenti signori della guerra.
Quando la Conferenza di Versailles (18 gennaio 1919-21 gennaio 1920) assegnò al Giappone le basi tedesche dello Shandong, con l’avallo del governo pechinese, le correnti intellettuali, letterarie e politiche il 4 maggio 1919 indissero in tutto il paese una serie di proteste, alle quali aderirono anche titolari di piccole e medie imprese, nonché operai. Gli organizzatori si rifacevano al Movimento di nuova cultura, nato nel 1915 e sviluppatosi presso l’Università di Pechino, ove si esaltava l’importanza della scienza e della democrazia, respingendo la cultura tradizionale cinese. Il Movimento del 4 maggio, segnò – secondo la storiografia cinese – l’inizio della storia contemporanea. Gli eventi incalzarono. Sun Zhongshan istituì il governo militare a Guangzhou (Canton, 1921-25); dopo la sua morte il governo nazionale si spostò più tardi a Wuhan (1925-27), sotto la direzione dell’astro nascente Jiang Jieshi (Chiang Kai-shek, 1887-1975).
Il 1° luglio 1921 fu fondato il Partito Comunista Cinese. Nel 1924 i buoni rapporti fra Unione Sovietica e GMD, indussero il PCC a creare un fronte unito con il GMD. Nel 1926 Jiang Jieshi lanciò, con successo una spedizione contro i signori della guerra settentrionali; nel 1927 spostò il suo governo a Nanchino, ruppe l’alleanza col PCC, e represse sanguinosamente i comunisti, col massacro di Shanghai e le rivolte contadine di Guangzhou. Nel 1928 egli riunificò gran parte del Paese. Jiang Jieshi accentrò in un Consiglio di Stato da lui presieduto i cinque poteri: esecutivo, legislativo, giudiziario, inquirente e di controllo. Il 1° agosto 1927, il PCC aveva fondato l’Armata Rossa, come forma di difesa contro gli attacchi del GMD.
Nel 1931 si ebbe il periodo del “governo formativo”: con l’appoggio degli anglo-statunitensi furono riacquistate alcune concessioni straniere; furono aboliti i privilegi di extraterritorialità e soppressi i dazi interni; restarono le concessioni straniere a Shanghai e il controllo straniero sui dazi portuali. Il governo si trasformò in una dittatura militare.
Il 19 settembre 1931 il Giappone attaccò la Manciuria. Il 7 novembre dello stesso anno il PCC eresse la Repubblica Sovietica Cinese nello Jiangxi, primo ministro: Mao Zedong (1893-1976). Dal dicembre 1930 era iniziata di fatto la guerra civile. Cinque campagne di annientamento verso i comunisti volute da Jiang Jieshi si concluderanno nell’ottobre 1933 prostrando i rossi. Questi dall’ottobre 1934 sino allo stesso mese dell’anno successivo daranno vita alla leggendaria Lunga Marcia dei Diecimila Li (Changzheng) per passare dallo Jiangxi, ormai indifendibile allo Shaanxi. Dodicimila chilometri impervi percorsi dall’Armata Rossa (poi Esercito Popolare di Liberazione). Partirono in 130mila contro 400mila, e arrivarono a destinazione solo in 20mila.
Nel 1936 Jiang Jieshi giunse al culmine del proprio potere controllando 11 delle 18 province cinesi. Però il 7 luglio i giapponesi attaccarono la Cina. Nel 1937 nuovo accordo fra comunisti e nazionalisti in funzione anti Sol Levante. Il governo del GMD si spostò da Nanchino a Chongqing. In seguito, una volta caduta in mano ai giapponesi, in quella città prese vita il governo collaborazionista di Wang Jingwei (1883-1944), un ex del GMD. Nel 1941, Jiang Jieshi – certo della sconfitta di Tokyo per l’entrata in guerra dei suoi alleati statunitensi – infranse un’altra volta l’accordo con i comunisti. In Cina si ebbero contemporaneamente tre guerre: GMD contro PCC, ed entrambi disuniti contro occupanti e governo fantoccio. Il Giappone capitolò il 9 settembre 1945.
Dopo la fine dell’occupazione nipponica l’economia cinese era in pessime condizioni. Con l’appoggio degli Stati Uniti d’America, le truppe del GMD occuparono le grandi città, ma non erano in grado di mantenere l’ordine. Il 14 agosto 1945 si firmò un trattato di amicizia e alleanza con l’Unione Sovietica, che conservò, tra l’altro, Lushunko (Port Arthur; In amministrazione sovietico-nipponica fino al 1953, per essere poi restituita alla Repubblica Popolare della Cina). Fallirono le trattative tra nazionalisti e comunisti per un governo di coalizione. Si ebbero i nuovi scontri tra le due fazioni.
Nel 1947 la guerra civile s’inasprì. I nazionalisti, con l’aiuto statunitense, detennero il potere in vasti territori, ma le truppe comuniste ottenevano nuovi successi.
Alla vigilia del Primo Maggio 1948, il Comitato Centrale del PCC emanò un appello col proposito di riunire una nuova conferenza, dopo il fallimento della precedente. Infatti, il 10 ottobre 1945 – all’indomani della sconfitta del Sol Levante – Mao Zedong e Jiang Jieshi si erano visti e accordati in merito alla ricostruzione del Paese e alla convocazione di una conferenza politica consultiva. Questa si aprì il 10 gennaio 1946, con la presenza di sette delegati del PCC, nove del GMD, nove della Lega Democratica, cinque del Partito della Gioventù e nove indipendenti.
Dopo il raggiungimento dell’accordo del 25 febbraio 1946 la conferenza si arenò nel luglio quando Jiang Jieshi lanciò un’offensiva in larga scala contro i territori comunisti con 218 brigate: l’inizio vero e proprio dell’ulteriore guerra civile. Però nel dicembre 1947 Mao comunicò che 640mila militari nazionalisti erano stati uccisi o feriti, e oltre un milione aveva deposto le armi.
L’appello del 30 aprile 1948 riscosse apprezzamento ed ebbe un’immediata eco da partiti democratici, organizzazioni popolari, personalità non legate a movimenti, nonché adesioni dei cinesi d’oltremare.
Il 5 maggio, vi fu il saluto di capi di vari partiti democratici tra cui Li Jishen (1885-1959) e He Xiangning (1879-1972) del Comitato Rivoluzionario del GMD – movimento distinto dal GMD propriamente detto (il primo era il suo presidente). Poi Shen Junru (1875-1963) e Zhang Bojun (1895-1969) della direzione della Lega Democratica; Ma Xulun (1885-1970) e Wang Shaoao (1888-1970) dell’Associazione Cinese per la Promozione della Democrazia. Chen Qiyou (1892-1970) del Partito della Giustizia; Peng Zemin (1877-1956) del Partito Democratico dei Contadini e degli Operai; Li Zhangda (1890-1953) dell’Associazione per la Salvezza Nazionale; Cai Tingkai (1892-1968) del Comitato per la Promozione della Democrazia del GMD; e Tan Pingshan (1886-1956) della Federazione dei Compagni del Sanminzhuyi (Tre Principi del Popolo).
Come pure Guo Moruo (1892-1978), una persona senza affiliazione partitica, inviarono da Xianggang (Hong Kong) un telegramma congiunto al CC del PCC, a Mao Zedong e all’intera nazione sostenendo la chiamata dei comunisti.
Nel frattempo, l’Associazione per la Promozione della Democrazia e la Società Jiu San (3 Settembre), che avevano stabilito i quartieri generali in aree sotto il governo del GMD, svolsero riunioni segrete dei loro comitati centrali per accogliere il documento del PCC.
Mao Dun (1896-1981), Hu Yuzhi (1896-1986), Liu Yazi (1887-1958), Zhu Yunshan (1887-1981) e 120 democratici pubblicarono un comunicato comune, esprimendo la loro intesa con la posizione del PCC. Inoltre, 55 leader dei partiti democratici e persone fuori partito, diffusero alcuni commenti congiunti sulla situazione politica della Cina, dichiarando:
“[…] durante la guerra di liberazione popolare, siamo disposti a contribuire e collaborare nella progettazione di programmi sotto la guida del PCC, attendendoci di promuovere il rapido successo della rivoluzione democratica popolare cinese per la prossima fondazione di un’indipendente, libera, pacifica e felice Nuova Cina”.
La Conferenza si riunì a Pechino in prima sessione plenaria dal 21 al 30 settembre 1949. Aderirono complessivamente 622 rappresentanti. Essi erano inviati da: PCC; partiti democratici; personalità indipendenti; organizzazioni di massa e regionali; Esercito Popolare di Liberazione; minoranze etniche; cinesi d’oltremare; democratici patriottici; e gruppi religiosi.
La prima sessione esercitò le funzioni di vera e propria assemblea parlamentare, legislativa e costituzionale dello Stato in fieri e sino al 1954, quando fu eletta la prima Assemblea Nazionale del Popolo. La CCPPC adottò la costituzione provvisoria (Programma Comune della CCPPC), la legge organica della CCPPC e la legge organica del Governo Popolare Centrale. Scelse Pechino quale capitale del Paese. Istituì il vessillo rosso a cinque stelle gialle (Wu Xing Hong Qi) quale bandiera nazionale: il rosso indica la rivoluzione; la stella maggiore il PCC, le altre le classi della società: operaia, contadina, piccola borghesia e capitalisti (borghesia nazionale). Adottò la Marcia dei Volontari (Yiyongjun Jinxingqu) come inno nazionale e optò per il calendario gregoriano. La sessione elesse il Comitato Nazionale della CCPPC e il Consiglio Governativo Popolare Centrale di Stato. Il Primo Ottobre – per bocca di Mao, presidente del CN – proclamò la Repubblica Popolare.
Il governo e l’esercito del GMD si rifugiarono a Taiwan. Jiang Jieshi fu sconfitto proprio perché era incapace di offrire al proprio Paese un futuro d’indipendenza dalle potenze imperialistiche a cui era legato, a iniziare dagli Stati Uniti d’America.
Quando il Cielo ritirò il mandato anche alla Repubblica borghese, fu un cambiamento ciclico nella storia universale, paragonabile solo al 1789 e al 1917. In seguito le manovre dei nemici della Repubblica Popolare, esclusero sino al 1971 ottocentoquarantuno milioni di cinesi dall’Organizzazione delle Nazioni Unite.