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Spadaro e l’urgenza di immaginare il futuro

La presentazione del volume del direttore di La Civiltà Cattolica, “Fiamme nella notte. Sette parole per immaginare il futuro” (Ares), è stata l’occasione per parlare di molte cose, soprattutto di letteratura, tema centrale nel volume, ma anche di politica. Di quella che un tempo si chiamava “politica con la P maiuscola”

Abbiamo il compito di gestire il presente o di immaginare il futuro? La presentazione del libro di padre Antonio Spadaro “Fiamme nella notte. Sette parole per immaginare il futuro” è stata l’occasione per parlare di molte cose, soprattutto di letteratura, tema centrale nel volume, ma anche di politica. Di quella che un tempo si chiamava “politica con la P maiuscola”. Infatti la conclusione del sottotitolo, “immaginare il futuro” è una scelta, e in quanto tale anche una rottura.

Il ragionamento di padre Spadaro, profondamente cattolico ma anche compiutamente laico, è partito dalla presentazione del senso del volume. Siamo sulla soglia, tutti. Vogliamo immaginare il futuro o tornare indietro? Letterariamente questa idea è stata presentata in modo molto chiaro: il viaggio che vogliamo fare è quello di Ulisse, un viaggio che mira al ritorno, o quello di Abramo o di Enea, un viaggio aperto alla novità, un viaggio del quale non si conosce il termine e che quindi è aperto verso il futuro?

Abbiamo già capito che la prima parola che Spadaro ha incontrato sul suo cammino per immaginare il futuro è “viaggio”. Un viaggio non per tornare, ma per andare avanti. Ma come? Chi sceglie questo viaggio lo fa probabilmente con in una mano la parola “speranza”. Gli antichi non avevano un rapporto paragonabile al nostro con la “speranza”. È la novità introdotta fondamentalmente dal cristianesimo, ha osservato Spadaro: senza nostalgie, senza cioè il desiderio di tornare al passato. Se per Seneca infatti, ha ricordato il direttore de La Civiltà Cattolica, la speranza è un “male dolce”, dunque certamente dolce, ma male, per chi crede nell’aldilà la speranza non è un male, tutt’altro, è la vita.

Qui non siamo chiamati a intendere “aldilà” per forza come quello dell’altra vita, quella eterna. Fermiamoci un attimo: siamo sulla soglia. Come immaginiamo il futuro? Con la speranza che ci possa essere qualcosa di migliore davanti a noi che noi vogliamo immaginare e quindi andare a trovare, a costruire, o questa speranza è un “dolce male”, possiamo solo tornare? È Itaca il nostro futuro, il passato al quale tornare, o è la Terra Promessa, verso la quale Abramo è partito senza conoscerla, con il coraggio della speranza?

Immaginiamo il nostro oggi: siamo sulla soglia, sulla soglia di casa: usciamo e ci apriamo al mondo, comincia il nostro viaggio. Avvertiamo che c’è un limite? Vogliamo andare oltre questo limite. Ma come superiamo il confine? Confine, dopo “viaggio”, è la seconda parola che Spadaro ha incontrato. Qui il riferimento alla politica è diventato stringente, chiarissima. Abbiamo davanti a noi un “limite”: cosa facciamo, abbiamo la volontà di superarlo per costruire un ordine nuovo, o vogliamo soltanto dire no a questo limite, senza interesse per l’oltre? In questo secondo caso il nostro rifiuto di ciò che c’è oggi, qui, diviene semplice ribellismo, asfittico, anzi, distruttivo, privo di vero interesse per la costruzione di qualcosa di nuovo. Qui si possono incontrare tante altre storie, oltre a quella di Jack Kerouac di cui si è parlato.  Si può pensare allora al passato e al presente. Ad esempio: molti ricorderanno il grande confronto nella sinistra tra l’anarco-sindacalismo e il socialismo riformista: i primi avevano l’obiettivo di raggiungere l’estinzione dello Stato e la collettivizzazione dei mezzi di produzione. In quell’aspro confronto chi guardava oltre il limite? Chi dei due puntava sulla speranza per andare oltre il limite per costruire un ordine nuovo e chi invece sceglieva un ribellismo distruttivo?

È la stessa domanda che emerge guardando ai camion che in Canada paralizzano Ottawa con la stessa identica metodologia che fu usata a Trieste. Proprio oggi, in un bellissimo articolo su Il Foglio, Daniele Raineri ha fotografato l’ideologia globale del protestatario riottoso: “Si è opposto ai vaccini, alle mascherine, all’Unione Europea e all’euro, all’elezione di Joe Biden e alla Nato, ha sostenuto la tesi della Grande sostituzione etnica, la necessità dell’abolizione punitiva dei media, ha negato i massacri chimici in Siria. Questa figura del riottoso quando vede proteste come a Ottawa diventa in fretta una moltitudine”.

A mio avviso questo antagonismo reazionario globale vede il limite ma non ha alcuna speranza, rifiuta un’aldilà, sogna un viaggio omerico verso il passato e lo fa con un ribellismo distruttivo che rifiuta di immaginare il futuro. Forse è qui la radice non certo cristiana di questa protesta.

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