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Come la digitalizzazione cambierà l’Ue. Incontro con Viola (DG Connect)

La via europea al digitale. Viola (DG Connect) a tutto tondo sul tech

All’evento di Task Force Italia, organizzato con il Digital Policy Council, l’uomo dietro al green pass tocca temi di identità digitale, salute e algoritmi, intelligenza artificiale, sicurezza e governo dei dati e microchip

Il manifesto alle spalle di Roberto Viola, capo della Direzione Generale di Comunicazione, Reti, Contenuto e Tecnologia della Commissione europea (DG Connect), incapsula l’essenza del suo mandato: guidare il “decennio digitale dell’Europa”. Il webinar organizzato dal Digital Policy Council – cui di recente si è unito il direttore di Formiche Giorgio Rutelli – e Task Force Italia è stato aperto dal presidente Valerio De Luca; Viola è passato rapidamente al tu e, dopo una breve introduzione, ha offerto per due ore la sua esperienza a una sequela di domande poste da esperti di più settori.

La via europea

“Il mercato europeo, incluso quello digitale, è il più grande al mondo. Dunque deve giocare una partita da protagonista e intende farlo con la trasformazione verde e digitale”, chiosa Viola in apertura. Il modello tech perseguito da Bruxelles non è quello americano, fatto di grandi privati e imprenditoria “che genera innovazione ma grande disuguaglianza”, né quello autoritario, che usa la tecnologia per esercitare un “controllo penetrante nella vita dei cittadini” e calpesta le libertà democratiche.

La strada europea, spiega, è una terza via “a rilascio più lento” perché partecipata da tutte le parti della società. “L’Ue si è indubbiamente svegliata tardi, ma sta recuperando posizioni e si sta ponendo come il faro della trasformazione digitale: il famoso effetto Bruxelles. Questo è il marchio di fabbrica europeo”. Secondo Viola i cittadini hanno già in tasca una prova del potere europeo: il green pass, congegnato proprio dalla DG Connect, di semplice utilizzo e letto da qualunque applicazione nei 70 Paesi al mondo che lo riconoscono.

L’identità digitale

Ma non ci si limiterà al Covid. Per Viola il successore del green pass sarà un “portafoglio di attributi” del cittadino, come la patente di guida digitale o un titolo di studio. L’identità digitale si baserà sulle sicurezze aggiuntive rispetto ai documenti cartacei (dall’autenticazione a più fattori fino alla tecnologia blockchain) e potrà servire, per esempio, a firmare un contratto senza rischi per la cibersicurezza. I vantaggi si riflettono anche dall’altra parte, semplificando le procedure di controllo del cliente (know your customer) che conosce chiunque abbia mai aperto un conto in banca e costano “decine di miliardi” agli operatori, ospedali inclusi.

Tra medicina e algoritmi

Una naturale estensione del “mega green pass” immaginato da Viola è appunto una cartella clinica digitale e sicura. Che poi è la strada maestra per la medicina personalizzata, la quale promette (e già permette) esami più mirati e diagnosi più rapide e precise. Non si tratta solo di facile accesso alla storia clinica del paziente, c’è anche l’apporto dell’intelligenza artificiale (IA), che può consultare immensi database di dati medici anonimizzati e aiutare i professionisti a gestire, caso per caso, i pazienti. Come ha rimarcato Sandra Gallina, direttrice generale della Salute della Commissione (DG Sante), il sistema è tanto più promettente se si considera la situazione demografica che attende l’Italia. “Non è un caso che l’unico altro Paese in cui si vive così a lungo, il Giappone, sia ossessionato dalla sanità digitale”, ha commentato la funzionaria.

A sollevare la questione dei limiti è stata Elena Bottinelli, capo dell’innovazione, digitalizzazione e sostenibilità del Gruppo San Donato. “Noi ospedali siamo preoccupati che parte delle decisioni ci vengano tolte da questi sistemi”, ha detto, chiedendo al direttore Viola se la legislazione europea in arrivo (IA Act) garantisca che gli algoritmi non andranno a frapporsi tra esperti e pazienti ma resteranno sotto il controllo di chi si intende di sanità. La risposta è affermativa: il regolamento IA dell’Ue è basato su rischi, ha spiegato il capo della DG Connect, e dunque i sistemi che operano nel campo della salute sono soggetti a più controlli: chi li produce deve essere in grado di spiegare come funzionano, quali set di dati utilizzano, che tipo di prestazioni ci si può aspettare.

Interoperabilità

Una sanità digitale – o sistemi equivalenti in altri campi – è carica di promesse, ma la strada per arrivarci, avverte Viola, è ancora molto lunga. Il punto cardine è l’interoperabilità, ossia la compatibilità dei dati tra sistemi diversi, per cui una ricetta sanitaria può essere letta da qualsiasi farmacista e stia interamente in capo alle singole aziende scegliere i software che meglio soddisfano le proprie necessità, senza essere confinate a un sistema chiuso. Ma, come ha rimarcato il funzionario europeo, questo avviene ancora troppo frequentemente.

Per Viola è “scandaloso” spendere denaro pubblico in sistemi che non sono interoperabili, cosa che “è avvenuta troppo frequentemente in Italia con la mezza scusa della decentralizzazione”. Non c’è dubbio, continua, che stia alle autorità stabilire gli standard nella sanità e in altri settori. Per le tasche dei contribuenti, ma non solo: senza un sistema integrato non c’è la medicina personalizzata e gli altri vantaggi settoriali che la digitalizzazione può innescare.

Accelerazione digitale

Nel qui e ora il processo prende la forma dell’implementazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Per accelerare “il secondo paese più industrializzato d’Europa” ci vuole il 5G, ha rimarcato Viola. Accogliendo poi di buon grado l’obiezione di Secondina Ravera, presidente del Pio Albergo Trivulzio e in carica nel consiglio d’amministrazione di importanti realtà industriali. Il limite italiano all’inquinamento elettromagnetico, 6 volt al metro quadro (una cifra bassissima rispetto al resto d’Europa), è tanto arbitrario quanto limitante e svantaggia sia i conti pubblici che il paesaggio costringendo alla costruzione di più antenne del dovuto.

Per il capo della DG Connect è imperativo anche assicurarsi che i fondi per digitalizzare l’industria e la pubblica amministrazione – tra cloud, supercalcolo e big data – siano accompagnati da un cambio di mentalità, quello che distingue “un Paese che cerca di essere moderno da uno che lo è davvero […] Il tallone d’Achille dell’Italia sono le competenze”, ha commentato, ricordando il numero di laureati sotto la media europea (specie per le materie scientifiche). Serve potenziare la congiunzione tra mondo accademico e lavorativo, ha continuato, rinforzando l’avviamento professionale e migliorando le prospettive per i nuovi professionisti. Questa “dovrebbe essere la priorità delle priorità”.

Governance dei dati

Guardando al di là delle aziende, l’orizzonte è nazionale – e come sottolineato da Antonio De Palmas, vicepresidente della sezione Global Market Development Public Sector di Microsoft, si discute di sovranità nazionale del cloud, dato che le autorità vogliono ritenere il controllo dei dati di loro spettanza. Viola ha ricordato che in Europa un’azienda che acquista servizi cloud può decidere dove localizzarli, e lo stesso vale per i dati personali. Altro discorso per i governi, che hanno completo controllo di una “nuvola fatta in casa” ma non possono imporre nessun tipo di organizzazione se ricorrono all’acquisto tramite gara pubblica.

Per quanto riguarda le questioni extra Ue, si tratta di determinare l’adeguatezza del sistema terzo (come accade con i green pass). Oppure ci si rifà a clausole contrattuali, come nel caso degli Usa, dove si presume la conformità ma non si ha garanzia di essa. Il problema con Washington si chiama Cloud Act, ha spiegato Viola, una legge per cui qualsiasi azienda americana deve collaborare con i servizi segreti americani, previa validazione legale, anche se i dati sono gestiti in Europa. “È accettabile? […] Pensiamo che la strada migliore sia mettersi d’accordo”. Agli americani non piacciono alcuni elementi della legislazione europea in arrivo: ci si accorderà nel forum del Ttc.

Microchip

Naturalmente la digitalizzazione non s’ha da fare senza i suoi motori, ossia i microchip. Che nel 2021 sono stati in carenza costante, complice la delocalizzazione della produzione europea, come ha ricordato il capo della DG Connect, che dopo la spinta degli anni Novanta ha portato la produzione europea di microelettronica dal 27% al 7% di quella mondiale. Gianmarco Montanari, direttore generale dell’Istituto italiano di Tecnologia e membro del cda di Fineco e Tinexta, ha evocato la possibilità di creare un campione europeo su modello di Airbus; Viola ha chiamato in causa il Chips Act, la strategia europea che abbiamo descritto su queste colonne.

Cibersicurezza

Tutto è strettamente connesso alla sicurezza dei dati; l’ondata montante di attacchi alle strutture sensibili, anche quelle dotate dei più sofisticati sistemi di sicurezza, è un problema strategico immenso. Viola ha spiegato di appartenere al gruppo di persone che lancia l’allarme da anni (il centro di competenza di cibersicurezza a Bucarest è una sua battaglia storica). “Si tratta di cambiare l’approccio”, ha spiegato, “non chiedersi se ci sarà un attacco ma cosa fare quando avverrà”. La pandemia ha mostrato come la risposta nazionalista non sia in grado di rispondere problemi così endemici, continua. Siamo di fronte a due fronti d’attacco, ha spiegato Viola, cioè delle organizzazioni criminali internazionali sofisticatissime e quelle supportate da potenze straniere ostili verso l’Ue.

Citando la dottoressa Gallina, Viola ha commentato che le operazioni di prevenzione sono “salvavita. L’abbiamo visto con gli attacchi hacker agli ospedali e ai centri di ricerca che lavorano sui vaccini”. Si risponde partendo dalla cosiddetta igiene digitale: gestione sicura delle password, autenticazione multifattore, protezione digitale da parte di un’amministrazione responsabile.  Infine, ha concluso il funzionario, serve costruire un sistema di cooperazione europea per contrastare gli attacchi e condividere i dati per agevolare una risposta in tempo reale. A quello serve il centro di Bucarest. “C’è tanto lavoro ancora da fare, ma credo che oggi ci sia una diversità rispetto al passato: la volontà di dare soluzioni europee a problemi su scala europea”.

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