Turchia ed Emirati Arabi Uniti sembrano ricucire le proprie relazioni attraverso la firma di tredici accordi di cooperazione, anche in materia di difesa. Con i successi dei droni turchi dalla Libia al Nagorno-Karabakh e la proposta di mediazione tra Occidente e Russia sull’Ucraina, per Erdoğan l’accordo potrebbe rappresentare un ulteriore passo della strategia di porsi quale potenza regionale e provider globale di sicurezza
C’è anche la difesa tra gli argomenti previsti dai tredici accordi di cooperazione in vari settori discussi ad Abu Dhabi dal presidente turco Recep Tayyip Erdoğan insieme allo sceicco Mohammed bin Zayed Al Nahyan, principe ereditario e ministro della difesa di Abu Dhabi. Gli accordi segnano l’avvio di un processo di normalizzazione tra le due potenze regionali, e la visita di Erdogan nel Paese del Golfo, la prima da dieci anni, potrebbe essere un perno per ricucire i legami attraverso varie partnership strategiche, tra cui nel settore cruciale degli armamenti.
L’accordo sulla difesa
Tra i tredici accordi, infatti, il dodicesimo è una lettera d’intenti sulla cooperazione in materia di difesa, scambiata tra Tareq Abdul Raheem Al Hosani, ceo di Tawazun Economic Counci, l’autorità per le acquisizioni di difesa e sicurezza degli Emirati Arabi Uniti, e il presidente di Turkish Defence Industries, l’istituzione civile creata dal governo turco per gestire la sua industria della difesa e la fornitura di tecnologia militare, İsmail Demir. Quest’ultimo, tra l’altro, è uno dei funzionari turchi sanzionati dagli Stati Uniti in merito all’acquisizione da parte di Ankara del sistema missilistico russo S-400.
La posizione emiratina
Secondo quanto affermato dal ministro dell’Economia degli Emirati, Abdulla bin Touq Al Marri, la cooperazione economica anche nel settore della difesa è parte integrante della strategia e visione del futuro di Abu Dhabi: “Credo che questa sia una visione condivisa sia dagli Eau che dalla Turchia, e gli Emirati sono desiderosi di espandere la loro partnership con la Turchia in vari campi vitali oltre al settore della difesa.
Un altro successo per i droni turchi?
Sebbene non ci siano ancora dettagli sulla natura della cooperazione nel settore degli armamenti, la visita di Erdogan arriva mentre gli Emirati Arabi Uniti affrontano una crescente minaccia da parte dei ribelli Houthi dello Yemen, che nelle ultime settimane hanno lanciato una serie di attacchi con droni e missili sul Paese del Golfo e hanno spinto gli Emirati a cercare nuove partnership internazionali nel campo della difesa, a partire da Stati Uniti e Francia. È ipotizzabile, dunque, che la cooperazione con la Turchia converga proprio sui sistemi aerei unmanned e sulle contromisure aeree nelle quali Ankara ambisce a detenere un ruolo di primo piano nel mercato internazionale.
Il precedente della Piaggio Aerospace
Nel 2018, tra l’altro, gli Emirati Arabi Uniti annullarono un ordine, del valore di 766 milioni di euro, per otto droni P1HH con Piaggio Aerospace (interamente acquisita da Mubadala Development Company, fondo sovrano del governo di Abu Dhabi). Una battuta d’arresto per l’azienda italiana, allora unico produttore commerciale di droni militari in Europa, che costrinse il fondo di Abu Dhabi a chiedere l’amministrazione straordinaria per la società.
La lezione libica
Ankara, dal canto suo, è da diverso tempo impegnata in una campagna di potenziamento della propria postura internazionale quale provider di sicurezza e difesa e fornitore di sistemi d’arma all’avanguardia. Durante la crisi in Libia, i droni turchi hanno giocato un ruolo cruciale, causando diversi problemi alla coalizione supportata (allora) dagli Emirati Arabi Uniti. È possibile che Abu Dhabi abbia imparato la lezione e voglia dotarsi di quegli stessi sistemi. I droni turchi, e in particolare il TB-2 della Baykar, sono stati recentemente protagonisti anche di una vendita da parte di Ankara a supporto del governo di Kiev minacciato dall’aggressività russa. I velivoli senza pilota turchi, tra l’altro, sono stati impiegati efficacemente anche nel Nagorno-Karabakh.
L’attivismo della Sublime porta
Ma l’attivismo di Ankara non si limita alla sola vendita di armamenti, avendo più volte avanzato la propria posizione quale provider regionale di sicurezza e difesa. Ad agosto scorso, Erdoğan ha ottenuto il controllo sulla gestione dell’aeroporto di Kabul, nell’ambito della missione Nato di ritiro delle truppe, un impegno di grande rilevanza strategica e dalla profonda valenza geostrategica. Più recentemente, Ankara si è proposta quale mediatrice tra Nato e Russia per cercare una soluzione alle tensioni crescenti intorno all’Ucraina.
Un processo regionale
Dietro le quinte dell’accordo con gli Emirati Arabi Uniti, inoltre, potrebbe esserci la volontà della Sublime porta di espandere il suo ruolo di potenza regionale anche nell’area del Golfo e dell’intero Medio Oriente. In questo senso la normalizzazione dei rapporti tra Ankara e Abu Dhabi si inserirebbe in una più ampia prospettiva regionale di miglioramento delle relazioni tra la Turchia e i Paesi mediorientali, compreso Israele. Le iniziative turche potrebbero proseguire nel prossimo periodo anche con altri “avversari” regionali, come Arabia Saudita ed Egitto.
Una svolta diplomatica
Tra le cause di questo cambio di rotta potrebbero esserci da una parte il relativo isolamento turco, dovuto a un eccesso di assertività da parte di Ankara sul piano regionale (compresi i Paesi euro-mediterranei). Dall’altro, dietro la nuova iniziativa diplomatica potrebbero esserci le preoccupazioni di Erdoğan in vista delle elezioni del 2023. Tuttavia, il percorso potrebbe essere tutt’altro che semplice. Turchia ed Emirati Arabi Uniti non sono divisi da dossier cruciali come questioni di confine, energetiche o di minoranze reciproche che potrebbero creare problemi. Più difficile sarà, invece, riavvicinarsi a Paesi come Israele, Egitto e Grecia.