La crescita del Pil, per diventare strutturale ha bisogno di una macchina pubblica capace di dare continuità allo sviluppo. La rivoluzione è in corso, l’obiettivo è un Paese moderno nel quale si possa vivere e intraprendere. Come e più di quanto avviene nei Paesi nostri competitor
Se c’è una possibilità che il disegno di riforma del Paese tracciato nel Pnrr diventi progetto e poi opera, e quindi costruzione, questa possibilità si chiama Pa. Lo diceva dall’inizio dell’avventura del governo Draghi il ministro Renato Brunetta. Dopo un anno non ha perso l’entusiasmo e la progettualità. Anzi, rilancia.
In una lunga intervista al Sole 24 Ore il ministro della Funzione pubblica ribadisce la centralità della Pa nel processo di modernizzazione del Paese. Una parola chiave: semplificazione. Altre tre parole costituiscono un programma e un’agenda: exit, voice, loyalty, citando Albert Hirschmann, riassumono le tre relazioni con la Pa. “La possibilità di uscire dal sistema pubblico se non funziona, la voce agli utenti, e la fiducia tra cittadini e Stato” secondo Brunetta sono le tracce da seguire per costruire il percorso di riforma della Pubblica amministrazione in Italia.
L’inefficienza della Pa costa alle imprese italiane 109 miliardi all’anno. Il calcolo è della Cgia di Mestre che somma i costi che pesano annualmente sulle imprese a causa della complessità burocratica generata da una macchina statale spesso inefficiente (57,2 miliardi di euro) e l’ammontare dei mancati pagamenti di parte corrente che la Pubblica amministrazione ha nei confronti dei propri fornitori (51,9 miliardi di euro).
“Senza contare – sottolineava una nota dell’Ufficio studi dell’organizzazione mestrina di qualche settimana fa – che la Pa, nonostante la sentenza di condanna inflittaci dalla Corte di Giustizia Europea nel gennaio del 2020, continua a onorare con difficoltà i debiti commerciali. Si pensi che l’anno scorso, i mancati pagamenti nei confronti delle imprese che hanno lavorato per lo Stato ammontavano a 10 miliardi di euro”.
Intendiamoci, l’Italia può contare “su punte di eccellenza della macchina pubblica da far invidia al resto d’Europa, ma mediamente”, rilevava l’analisi della Cgia, “la nostra Pa funziona poco, male ed è un freno allo sviluppo. Si pensi che, in virtù del Regional competitiveness index (Rci), nell’Ue le regioni italiane si posizionano tutte oltre il 200esimo posto in graduatoria su 268 territori monitorati da questa ricerca”.
Con la consapevolezza della centralità della Pa per la riforma del Paese, Renato Brunetta ha annunciato, entro due settimane, un decreto legge collegato alla realizzazione del Pnrr, con il quale si ridurranno della metà i tempi delle procedure fissati dalla legge 241 (ormai datata, venne varata del 1990!) che riguardano i processi amministrativi. Un decreto legge per semplificare, più una consultazione pubblica per raccogliere le migliori idee per la semplificazione della Pa (“Facciamo semplice l’Italia. Le tue idee per una Pa amica”) – è fondamentale condividere e corresponsabilizzare – e un poderoso programma di formazione e di ri-motivazione dei 3,2 milioni di dipendenti pubblici, sulle gambe dei quali dovrà camminare ogni progetto di riforma del Paese e della stessa Pa (“Ri-formare la Pa” è il titolo del processo di aggiornamento e di riqualificazione che riguarderà l’esercito di dipendenti pubblici del centro e della periferia (meglio dire: del territorio), anche grazie al coinvolgimento di 70 atenei in tutto il Paese.
Il nemico dell’impresa privata è, ancora una volta, la burocrazia: la complessità delle procedure amministrative in capo alle aziende “costituisce un problema per quasi 9 imprenditori italiani su 10”, osservano gli analisti della Cgia. Nessun altro Paese dell’Area dell’euro ha registrato uno score peggiore del nostro. Rispetto alla media dei 19 Paesi monitorati, l’Italia sconta un differenziale di ben 18 punti percentuali in più. Il coacervo di norme, di regolamenti e di disposizioni varie presenti in tutti i settori continuano a ingessare il Paese, rendendo la vita impossibile soprattutto a coloro che vogliono fare impresa.
E mai come in questo momento, oltre a riformare la nostra amministrazione statale sarebbe necessario semplificare il quadro normativo, riducendo il numero delle leggi attraverso l’abrogazione di quelle più datate, ricorrendo ai testi unici, evitando così la sovrapposizione legislativa che su molte materie ha generato incomunicabilità, mancanza di trasparenza, incertezza dei tempi e adempimenti sempre più onerosi. Tutto questo darà un forte impulso alla produttività del personale pubblico, spesso costretto a sottostare a procedure organizzative rigide e insensate che disincentivano la voglia di fare. E spesso privato degli strumenti premiali che funzionano nella valorizzazione del capitale umano. Anche su questo fronte il ministro Brunetta si è speso per assicurare un cambiamento in atto.
Pa rinnovata, riformata, convertita all’efficienza del Paese. Sostenibile e resiliente: come viene qualificata nell’iniziativa promossa in questi giorni dal Forum Pa e da Asvis (Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile) per premiare le best practices della Pubblica amministrazione in Italia. Il benchmark serve per esprimere il meglio e renderlo imitabile. Compreso il confronto con le migliori esperienze dall’estero: il ministro Brunetta ha annunciato un tour europeo, finalizzato proprio a promuovere il confronto tra Pa per poter cogliere spunti e comunicare esperienze e successi.
La rivoluzione è in corso, l’obiettivo è un Paese moderno nel quale si possa vivere e intraprendere. Come e più di quanto avviene nei Paesi nostri competitor. La crescita del Pil, per diventare strutturale ha bisogno di una macchina pubblica capace di dare continuità allo sviluppo.