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La trama internazionale di Mani Pulite

Dal mancato ruolo di attore primario nella crisi dei Balcani alle difficoltà nei negoziati europei sull’immigrazione fino alla strada (in salita) nelle trattative sull’austerity. La vicenda Mani Pulite ha avuto un'(enorme) onda d’urto internazionale per l’Italia. L’analisi del prof. Igor Pellicciari (Università di Urbino)

A ben tre decenni dal suo inizio, una ricostruzione storiografica di Mani Pulite resta complessa per la mancanza di fonti certe, di difficile accesso per via dell’acceso dibattito che persiste sul rapporto tra politica e giustizia.

Qualche certezza in più la da contestualizzare Mani Pulite nel quadro internazionale del suo tempo, per cogliere specificità e tratti comuni di un fenomeno sì prettamente italiano ma non unicum assoluto (positivo o negativo) come è stato spesso raffigurato.

Primo aspetto da sottolineare è che nei de-ideologizzati anni Novanta del post-bipolarismo, la Questione Morale acquista nuova forza come legittimo strumento di scontro politico non solo in Italia ma in numerosi contesti nazionali e multilaterali di prim’ordine.

In Francia l’episodio più eclatante è la campagna a mezzo stampa contro il primo ministro Pierre Beregovoy che lo spingono nel 1993 alla sconfitta elettorale e poi di lì a poco al tragico gesto di togliersi la vita, che segnerà l’inizio dell’ultima fase crepuscolare della Presidenza di Francois Mitterrand.

In Germania, sistema politico in genere meno esposto alla questione morale, gli anni Novanta vedono una concentrazione senza precedenti (ben nove) di scandali pubblici che al culmine bruciano il mostro sacro Helmut Kohl, tra i principali artefici della riunificazione tedesca.

In Spagna, accuse di corruzione amplificate dai Media portano nel 1996 alla sconfitta elettorale che impone al leader di lungo corso Felipe Gonzales di lasciare la guida del governo – tenuto ininterrottamente dal lontano 1982.

Nello stesso quadro va collocato anche il più famoso scandalo presidenziale del decennio, con Bill Clinton sottoposto ad impeachment per avere mentito sul tipo di relazione avuto con la stagista alla Casa Bianca Monica Lewinsky.

Sul versante multilaterale, basti ricordare l’eclatante caso delle dimissioni cui viene obbligata nel 1999 la Commissione Europea guidata da Jacques Santer (ex-primo ministro del Lussemburgo) per le accuse di peculato mosse alla commissaria Edith Cresson (ex-primo ministro francese).

La specificità italiana è che ad iniziare l’ondata moralizzatrice sono settori del potere giudiziario; con un impatto radicale sul sistema politico, rivoluzionato in dinamiche e protagonisti. Altrove in Occidente sono invece i media a trainare l’azione moralizzatrice, con effetti non-sistemici che non vanno oltre il condizionamento delle sorti dei singoli esponenti politici coinvolti e non scuotono il sistema dalle sue fondamenta.

Altro aspetto poco trattato sono le conseguenze della sostituzione determinata da Mani Pulite della vecchia classe politica della Prima Repubblica con una nuova tutta concentrata sulla politica interna, con poco interesse per la dimensione internazionale e scarse competenze in politica estera.

Questo determina l’inizio di una fase di indebolimento del ruolo e del peso dell’Italia su scala europea, sancito dalla rinuncia a giocare un ruolo politico primario nella gestione delle crisi balcaniche, dalla Bosnia al Kosovo, cruciali nel ridefinire i nuovi equilibri del mondo post-bipolare.

Aprendo un trend ancora in corso, come dicono le periodiche difficoltà di Roma nel far valere le proprie ragioni a Bruxelles su temi come la ristrutturazione del debito pubblico (e revisione dei parametri del Patto di Stabilità) o la gestione dei flussi di immigrazione illegale (e riforma del trattato di Dublino).

Infine, la dimensione internazionale si incrocia con una delle questioni più controverse e aperte, riguardanti l’origine stessa della stagione di Mani Pulite. A fronteggiarsi sono ipotesi di una sua genesi endogena/italiana vs esogena/esterna.

Le prime la considerano nata dalla presa di coscienza della necessità di reagire ad un sistema di finanziamento illegale della politica attraverso appalti pubblici talmente endemico (riassunto nel neologismo Tangentopoli) da essere diventato insostenibile.

Secondo queste tesi, il contesto internazionale post-bipolare avrebbe l’effetto non di determinare ma semmai solo accelerare un processo oramai irreversibile di moralizzazione whatever-it-takes del sistema politico, perseguito da settori della magistratura, sostenuti da un diffuso sentire popolare.

Per le tesi esogene, invece, Mani Pulite sarebbe il capitolo italiano (magari sfuggito di mano ad un certo punto) di un’azione nata oltreoceano e rivolta a tutto il vecchio continente, con l’obiettivo statunitense di ridimensionare il ruolo politico europeo in rapida crescita. A partire dalle leadership carismatiche che hanno guidato l’affermarsi Occidentale nella Guerra Fredda, ora diventate ingombranti perché troppo autonome nell’aprirsi ai nuovi mercati politici ed economici dell’Est Europa post-comunista.

Il caso italiano sarebbe particolarmente attenzionato per via del paradosso di un paese che perde centralità come avamposto politico-istituzionale contro il blocco sovietico negoziato da Alcide De Gasperi; ma al contempo aumenta il suo peso strategico-militare come base imprescindibile per interventi nei crescenti scenari di crisi, dai Balcani al Medio Oriente.

Per sfruttare al meglio il potenziale logistico italiano, necessita che a Roma vi sia una classe politica pronta a ospitare passivamente operazioni straniere sul proprio territorio, senza opporvisi o trarne un proprio vantaggio autonomo. In controtendenza con quanto sperimentato nella Prima Repubblica con l’attivismo diplomatico di Giulio Andreotti in Medio Oriente o il protagonismo nazionale di Bettino Craxi nel G7 o nell’emblematico episodio dell’incidente di Sigonella.

Entrambe le tesi endogene ed esogene accanto a considerazioni credibili (ma non per questo vere), presentano punti deboli prontamente rimarcati dal fronte opposto. Resta innegabile che risale proprio agli anni Novanta e all’imporsi della questione morale in politica il crollo verticale di carisma che affligge le leadership europee, riducendone legittimità e impatto dell’azione di governo.

Si è trattato di un prezzo molto alto pagato in nome dell’obiettivo di moralizzare il sistema politico che peraltro – stando alle cronache – sembra essere rimasto largamente incompiuto. Lungi dall’avere debellato la corruzione dalla sfera pubblica (non solo in Italia).


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