Il caso Schröder dimostra che l’Italia e gli altri partner europei devono affrontare di petto il tema per arginare l’influenza di Mosca. Il corsivo di Marco Mayer
Per reagire alla folle guerra di Vladimir Putin la prima mossa spetta alla Germania. Occorre oggi stesso estendere le sanzioni al patrimonio di Gerard Schröder, ex capo della Spd, a meno che non si dimetta dai suoi incarichi nelle aziende russe e rinunci alla recentissima nomina nel board di Gazprom.
Perché suggerisco questa proposta? Prima di tutto i fatti. Negli ultimi giorni del suo mandato governativo Schröder ha firmato l’accordo per la costruzione del gasdotto Nord Stream 2. Dopo i risultati deludenti delle elezioni anticipate del 18 settembre 2005, Schröder ha lasciato il governo e qualche settimana dopo il gigante russo Gazprom lo ha nominato presidente della società che gestisce il gasdotto Nord Stream, carica che tuttora occupa. Nei mesi e anni successivi è entrato nel consiglio di amministrazione di altri consorzi internazionali controllati dai russi. Pochi giorni fa è stato nominato nel nuovo board di Gazprom.
All’epoca non fu una sorpresa per l’opinione pubblica tedesca, e neppure per quella russa. Nel 2004 Spiegel aveva titolato “Mosca amore mio” un editoriale dedicato al legame “pericoloso” del cancelliere tedesco con Vladimir Putin.
Il caso Schröder è il più eclatante, ma non è certo isolato. Colpire con dure sanzioni i grandi patrimoni finanziari e immobiliari degli oligarchi, manager e politici russi e contemporaneamente consentire che politici, governanti e manager pubblici europei mantengano le loro posizioni è un’ipocrisia inaccettabile se esse sono state conquistate grazie allo strumento delle “porte girevoli”.
Il ricorso alle sanzioni è utile ma non basta. Al di là del diritto internazionale esiste un vuoto normativo che caratterizza il diritto interno (in materia di sicurezza nazionale) in Italia, in Germania ed in altri Stati membri dell’Unione europea. Le bombe e i carri armati russi che oggi colpiscono il popolo dell’Ucraina seguono ad altri atti ostili del Cremlino verso l’Unione europea.
La forte riduzione delle forniture di gas russo all’Europa costituiscono minacce alla sicurezza nazionale in tutti i Paesi europei; nei mesi scorsi le scelte del Cremlino hanno contribuito in modo significativo ad alimentare l’aumento delle bollette energetiche, l’inflazione e la disoccupazione ostacolando la ripresa economica post pandemia del nostro continente e in tutto il mondo.
Il caso Schröder dimostra che l’Italia e gli altri partner europei devono affrontare di petto il tema delle “porte girevoli” che hanno favorito l’influenza russa sulla politica europea. In verità l’Italia ha affrontato bene il tema nelle settimane scorse, ma in modo riduttivo limitandolo ai dirigenti dei servizi d’intelligence.
Le maggiori aziende e banche statali russe (come del resto quelle cinesi) possono contare in Italia e in Europa di una rete di manager e consulenti molto vasta e ben radicata negli Stati membri dell’Unione europea. Alcuni sono dirigenti di azienda di professione, niente da dire. Tuttavia una parte significativa di manager proviene dal mondo politico, dall’amministrazione pubblica, dalle forze armate, dalle società partecipate e/o controllate dallo Stato, dalla magistratura, eccetera.
Questa pratica diffusa – al di là delle migliori intenzioni dei soggetti singolarmente coinvolti – tende oggettivamente a favorire le strategie dei Paesi a noi ostili e comunque gli interessi delle loro aziende strategiche che sono in diretta competizione con le nostre.
Le conseguenze negative (anche non intenzionali) intenzionali possono essere tante: trattamenti di favore, concorrenza sleale, relazioni privilegiate, trasferimento illegale di know-how e brevetti, passaggio di informazioni riservate, comunicazione di segreti industriali e militari, eccetera. Nell’ambito del diritto privato e giuslavoristico sono abitualmente previsti contratti che vincolano i manager che cambiano azienda alle clausole di non concorrenza.
Niente di simile esiste in ambito pubblico. Quando un dirigente generale dello Stato va in pensione non può assumere alcun incarico retribuito nell’amministrazione e neppure un minimo rimborso spese quando sarebbe utilissimo. Il paradosso è che nessuna regola gli impedisce, invece di svolgere dal primo giorno della pensione incarichi superpagati ai vertici delle consociate italiane di imprese straniere potenzialmente ostili.
A mio avviso una nuova legge dovrebbe prevedere come per i servizi segreti una nuova regola per i politici, gli amministratori, i dirigenti pubblici e i manager di società partecipate dallo Stato o da enti pubblici: incompatibilità di svolgere attività in aziende straniere che operano in settori strategici per tre anni dopo il pensionamento. Non intendo citare casi specifici né tantomeno nomi e cognomi per ovvie ragioni deontologiche. Ma dopo il provvedimento relativo al comparto intelligence il Parlamento italiano deve pertanto essere esteso a tutti i settori della Pubblica amministrazione, alle forze armate, alla magistratura, alle società partecipate e last but non least ai politici.
L’auspicio è che sia l’Italia a dare l’esempio in un momento delicatissimo in cui tra l’altro c’è il rischio che una parte degli oltre 100 miliardi destinati dal Pnrr alla transizione ecologica e digitale finisca nelle casse di imprese russe o cinesi. Oltre alla riforma del golden power, eliminare le porte girevoli è una misura indispensabile per l’Italia del futuro.