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Non è tempo di discutere. Zelensky siamo noi

Qui non si tratta di decidere se Zelensky è buono o cattivo, qui si tratta di chiarire a Putin e a tutti gli altri che nel mondo hanno pieno disprezzo per la democrazia che non c’è spazio per colpi di Stato per via militare dentro l’Europa. Ue e Usa debbono garantire la sopravvivenza sua e del suo governo, a ogni costo

 

Verrà il tempo dei ragionamenti strategici di lungo periodo, delle riflessioni intorno all’espansione ad est della Nato, degli sforzi per tenere la Russia nell’orbita europea senza regalarla ad un’alleanza organica con la Cina.

Ma questo tempo non è adesso, non è quello dei cannoni e dei tank che sparano su obiettivi civili e militari in Ucraina per piegare una nazione la cui unica “colpa” è di non piegarsi ai voleri dello Zar di Mosca.

E questo non è nemmeno il tempo per discutere di come funziona la democrazia nelle nazioni dell’ex orbita sovietica, anche se avremmo molto da dire su come vanno le cose in Polonia, in Ungheria ed anche a Kiev.

Non tutto dell’Ucraina ci può piacere, tanto per essere chiari, perché sappiamo bene che anche lì prospera un’élite oligarchica che controlla quasi tutto del Paese, con effetti quantomeno distorsivi sui processi economici ed anche su quelli politici.

Però adesso non c’è spazio per quelle discussioni, perché questo è il tempo di agire di fronte ad una brutale aggressione che mette, senza se e senza ma, Vladimir Putin dalla parte del torto, dalla parte dei più biasimevoli leader politici del pianeta, dalla parte dei soggetti pericolosi per la serena (almeno nell’accezione “possibile” del termine) convivenza tra i popoli.

E sia chiaro una volta per tutte: ciò è tanto più vero alla luce del fatto che lo stesso Putin è un gigante del nostro tempo, un protagonista della storia che sarà nei libri di testo per generazioni, quindi un uomo che dovrebbe sentire con pienezza il peso delle sue azioni ma che oggi invece appare trasfigurato da una logica di potenza che richiama i momenti più bui del secolo scorso.

Ma se questo non è il tempo delle riflessioni di lungo periodo, qual è dunque il momento che viviamo? E, di conseguenza, che ruolo possiamo giocare noi, democratici europei ed americani, in queso scenario mondiale mai come ora frammentato e pericoloso?

Ebbene io credo che si posso avanzare quantomeno una prima, netta e semplice risposta a questa domanda.

Questo è il tempo in cui l’Unione Europea e gli Stati Uniti d’America, con o senza un ruolo operativo della Nato, debbono garantire la sopravvivenza di Volodymyr Zelensky e del suo governo, garantendone con ogni mezzo la permanenza alla guida delle istituzioni ucraine e quindi imponendo che al tavolo della trattativa (che forse già oggi si apre in Bielorussia o altrove) siano gli attuali assetti di potere a rappresentare quel popolo e quella nazione.

Qui non si tratta di decidere se Zelensky è buono o cattivo, qui si tratta di chiarire a Putin ed a tutti gli altri che nel mondo hanno pieno disprezzo per la democrazia che non c’è spazio per colpi di Stato per via militare dentro l’Europa e che da queste parti le controversie si sistemano in altro modo, sedendosi al tavolo della discussione lasciando la pistola fuori dalla porta.

A chi parla di sanzioni occorre ricordare che negli ultimi dodici mesi abbiamo visto il disastro di Capitol Hill, cioè la più drammatica dimostrazione di debolezza di Washington dal 4 luglio 1776 (data dell’approvazione della dichiarazione d’indipendenza) a oggi e abbiamo visto la vergognosa ritirata da Kabul, segnale di miserabile fragilità che peserà per decenni nello scacchiere del Medio Oriente.

A tutto ciò non possiamo aggiungere l’accettazione passiva della caduta del governo di Kiev per effetto dell’invasione militare russa, perché questo vorrebbe dire ammettere davanti al mondo che ormai non sappiamo più reagire davanti a niente.

Putin va portato al tavolo della trattativa, tavolo in cui anche le sue ragioni andranno ascoltate. Ma deve essere obbligato ad accettare di trovare Zelensky a quel tavolo.

Solo così potremo chiudere questa tragica vicenda facendo qualcosa di utile per il futuro, senza venir meno al dovere di difendere con ogni mezzo le istituzioni democratiche ovunque esse si trovino, quindi anche a Kiev.

Per questo oggi, senza troppi pelosi distinguo di cui finiremmo per pentirci in futuro, dobbiamo dire che Zelensky siamo noi.

Domani, una volta sistemate le cose, potremo anche criticarlo e magari correggerlo. Ma da vivo.

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