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Putin, la guerra e l’ambiguità della Chiesa russa

Questa guerra ci mette davanti a tutti i nostri problemi, le nostre miserie, ma anche alla nostra coscienza etica, politica e religiosa di cristiani. L’imbarazzante disimpegno della Chiesa ortodossa rivela ancor più il pericolo che si nasconde dietro la potenza armata in espansione del suo Stato

Le vere rivoluzioni non sono quelle che fanno gli uomini, ma quelle che accadono sopra la volontà collettiva. Questa affermazione che sembra richiamare l’idea di Joseph de Maistre di un disegno provvidenziale nella storia, in realtà è più prosaicamente la constatazione di un fatto: l’imprevedibilità dei grandi passaggi epocali e l’accelerazione che i corsi e ricorsi vichiani assumono talvolta nel tempo.

Eccoci giunti così, attraverso un repentino accendersi della polveriera ucraina, in una guerra di aggressione, probabilmente pianificata da tempo, nella quale il disegno espansionistico di potere del presidente russo Vladimir Putin ci ha irrimediabilmente gettati.

Da una settimana l’imponente esercito sovietico sta tempestando l’antica provincia dell’Unione, negando sistematicamente ogni diritto umano al popolo ucraino, ogni sovranità nazionale, ogni legalità internazionale. L’aspetto che più sconvolge è vedere un incubo del passato, tra i peggiori del XX secolo, una guerra feroce, coniugarsi con la nostra vita moderna, caratterizzata dalla comunicazione digitale globale e dal consumismo mediatico.

Tutte le resistenze che pensavamo avrebbero fatto da deterrente in Europa a questo scenario sono crollate davanti alla volontà di potenza di un dittatore che ha completamente oscurato ogni tipo di modernità.

Se è vero che vi è sempre qualcosa di mistico e di teologico nella politica, per capire questo basta rileggere il De civitate Dei di sant’Agostino, è anche sicuro che il ruolo delle grandi istituzioni religiose sono quanto mai centrali nel determinare l’atteggiamento di spirito collettivo verso la pace, condannando la guerra come male peggiore.

Qui non siamo di fronte al terrorismo islamico di Bin Laden, dell’Isis o dei talebani, ma alla più importante nazione cristiana ortodossa che attiva i gesti della sua peggiore storia, obliando istantaneamente l’intera migliore grandezza che possiede dentro di sé.

La guerra in Ucraina esprime al massimo il doppio binario zarista e dittatoriale della tradizione russa, unita alla spregiudicata e staliniana identificazione tra nazionalismo offensivo unilaterale e statalismo pianificatore. La serietà del male si è così rivelata nel 2022, portando con sé il peggio del passato orientale ed occidentale, coniugandolo in una sincretistica ricapitolazione di ogni violenza: contro la persona, contro la società, contro la sovranità nazionale, contro il valore delle differenze, contro la democrazia, contro l’intera umanità.

Un ruolo importante in un quadro del genere, nel quale un piccolo errore o una live esondazione russa nei territori Nato potrebbe determinare la Terza guerra mondiale, lo detengono indubbiamente le grandi Chiese cristiane.

È per questo che Papa Francesco ha deciso di intervenire in modo tanto partecipato e duro per condannare questa assurda guerra monolaterale, ed è per questo che occorre ribadire sempre e comunque con il Santo Padre che per la tradizione cattolica di ogni tempo una guerra del genere è l’essenza del male, il peggio che gli esseri umani possano fare.

In paragone, le dichiarazioni ufficiali del Patriarca della Chiesa ortodossa Kirill si sono presentate come timide e poco convincenti. Il suo appello alla neutralità e all’indipendenza della religione dalla politica sono, a ben vedere, inconsistenti. Esse ci mostrano la profonda differenza tra la cristianità occidentale, in specie cattolica, e la lunga e gloriosa tradizione ortodossa. Se è vero che le cose di Cesare sono distinte dalle cose di Dio, e questa norma è valida per ogni cristiano, è anche vero però che l’interpretazione di questa affermazione di Gesù non può essere letta correttamente, seguendo i padri della Chiesa, né come neutralismo, né come nazionalismo. La missione di ogni Chiesa cristiana è di essere divina e universale, anche quando è temporalmente e storicamente collocata geograficamente. La Chiesa ortodossa ha però fin dal medioevo interpretato questa sovranità universale e spirituale di Roma come un’egemonia centralistica di fatto non coniugabile facilmente con l’aspetto comunitario invece prevalente in Oriente.

Tale aspetto determinato mostra in occasioni del genere dei limiti costitutivi. Ma il punto che sembra convincere ancora meno da parte del patriarcato ortodosso è l’appello ad un silenzio di tutti i religiosi che nasconde parzialità più di quanto non segnali indipendenza dalla politica.

La Chiesa è infatti autonoma dalla politica ma non indifferente al bene comune. La politica appartiene alla natura umana mentre la religione si rivolge al soprannaturale, ma questo significa esattamente che l’orizzonte spirituale ha da dare e da dire una parola in più sulla politica e non una parola in meno, ha una responsabilità trascendente e non una trascendenza da ogni responsabilità.

La fede cristiana è per ogni persona una scoperta della verità pacificatrice dello Spirito che impegna ad una maggiore responsabilità dei credenti di fronte alla violenza contro i deboli e gli inermi, contro le mire espansionistiche e diaboliche del potere umano senza etica, a favore e in nome di un ordine naturale oggettivo che, sebbene indipendente dalla Chiesa, non è indipendente da Dio Creatore.

In questo momento, dunque, l’imbarazzante disimpegno della Chiesa ortodossa rivela ancor più il pericolo che si nasconde dietro questa potenza armata in espansione del suo Stato. Come ha spiegato Papa Francesco nell’Enciclica Fratelli tutti senza Verità divina ed umana non può esservi cristianità, e dunque senza il bene comune non può esistere né una buona Chiesa, né un buono Stato. Laddove un governo non riconosce il fondamento oggettivo della dignità umana, dei propri e degli altrui cittadini, fornita in modo preciso alla ragione dall’essenza dell’uomo, la Chiesa ha il dovere di ricordarlo, di ammonire, di ribellarsi e di anatemizzare. Indipendenza della Chiesa sì, ma non certo indifferenza per il corso storico e per le sue tragedie, di cui può divenire facilmente complice involontario se non lo fa.

Questa guerra di Putin ci mette davanti a tutti i nostri problemi, a tutte le nostre miserie, ma anche alla nostra coscienza etica, politica e religiosa di cristiani.

Per queste ragioni l’ambiguità e il neutralismo ortodosso non è un’opzione cattolica.

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