Il suo dilagante potere non è mai stato volto alla restaurazione dello spirito russo nell’ex-impero sovietico, ma soltanto proteso al dominio personale utilizzando le grandi risorse della nazione a cominciare dalle materie prime. È per questo che chi gli ha messo i bastoni tra le ruote ha finito per farsi male. Ora tocca all’Ucraina
A Kharkiv, il 4 marzo, tra migliaia di morti civili, sono stati contati cento bambini. La crudeltà russa non contempla la carta d’identità. A Irpin, cittadina a ovest di Kiev, gli invasori hanno aperto il fuoco su povera gente in fuga, disarmata e malmessa. Tra gli altri, come ha documentato una foto del New York Times che ha fatto il giro del mondo, sono rimasti uccisi una donna e i suoi due figli, mentre il padre versa in condizioni disperate. Kirill, un bimbo di un anno e mezzo, di Dnipro, è stato massacrato da una bomba. I genitori, insanguinato, l’hanno portato in ospedale. Non c’è stato niente da fare. Un altro angelo ucraino è volato via. Come fa a dire, l’autocrate bugiardo del Cremlino, che i suoi soldati non attaccano la popolazione civile?
Vladimir Putin è un mentitore di professione. Addestrato alla menzogna spacciata per verità negli anditi della macelleria del Kgb. E da gangster politico mostra totale indifferenza rispetto alla risoluzione dell’Onu sull’attacco all’Ucraina che ha ottenuto i voti contrari soltanto delle peggiori canaglie del Globo: Siria, Bielorussia, Corea del Nord ed Eritrea. Mentre tra i trentacinque astenuti abbiamo “apprezzato” l’ipocrita atteggiamento di altri Stati non meno canaglieschi: Cina, Algeria, Bolivia, Cuba, India, Iran, Iraq, Nicaragua, Sudafrica, Tagikistan, Kirgizistan e Kazakistan. In nessuno di questi Paesi i diritti umani e i diritti dei popoli vengono tutelati. Sono in mano a orribili nomenklature che spesso, come nei casi della Corea di Kim Jong-un, nelle repubbliche caucasiche, in Iran e in Iraq, in Cina, praticano il terrorismo sistematico come forma di governo.
Putin è il loro portabandiera. Li rifornisce di tutto ciò di cui hanno bisogno e li utilizza spesso come mercenari per le azioni più sporche delle quali si vergogna di assumersene direttamente e apertamente la paternità.
Ci sono, come abbiamo più volte sottolineato, ragioni geopolitiche che hanno fatto deflagrare il conflitto e l’Occidente non è immune da responsabilità, almeno dal 2014 al tempo della prima guerra Russo-Ucraina. Ma c’è un limite a tutto. Perfino al terrore che ha imbalsamato Putin e reso gelida la sua ragione di fronte alla prospettiva che l’Ucraina aderisse alla Nato.Ma niente giustifica, tuttavia, i massacri degli indifesi, dei profughi, dei perseguitati soltanto perché in fuga dall’inferno scatenato dalla Russia.
Non può esservi giustificazione alle caterve (e chi può contarli?) di cadaveri che in una settimana Putin ha gettato sul miserabile tavolo della sua criminale arroganza. E pertanto, ci sembra improprio che leader occidentali come Macron, prendendosi pesanti e indegne porte sbattute in faccia, ancora perseverino nella politica del dialogo che inevitabilmente si apre con un sorriso ipocrita e finisce con duro niet, come è accaduto fino a ieri sera. Le figuracce dell’Eliseo sono le più cocenti per l’Europa. Il giovanotto che si è appena ricandidato per la presidenza della Repubblica, ritiene di poter tenere i fili di un discorso con l’assassino della giornalista Anna Stepanovna Politkovskaja, consumato il 7 ottobre del 2006 – del quale ovviamente non si è mai assunto la responsabilità – o della persecuzione di Alexei Anatolievich Navalny, prima avvelenato ma fortunosamente rimasto vivo, poi imprigionato perché riconosciuto capo dell’opposizione, leader di Russia del futuro e presidente della coalizione Democratica che unisce le diverse formazioni che si oppongono a Putin. E come dimenticare Aleksandr Valterovic Litvinenko, assassinato a Londra causa di un avvelenamento da radiazione da polonio-210, in circostanze poco chiare? Una storia che segna la Russia di Putin.
Litvinenko fu accusato di aver maltrattato un arrestato durante un interrogatorio; venne mostrata un filmato nel quale si vedeva un militare che picchiava un uomo seduto, riuscì a rintracciare il video originale e dimostrò di non essere lui il picchiatore. Venne comunque arrestato e detenuto per otto mesi in attesa del processo; successivamente fu rilasciato per insufficienza di prove. Litvinenko assunse una posizione molto critica nei confronti del potere russo, in particolare verso Putin.
Nel 2002 pubblicò un libro finanziato dall’oligarca, poi caduto in disgrazia, Berezovskij nel quale accusava gli agenti del Fsb, il servizio segreto, di essere i veri responsabili della serie di attentati esplosivi verificatisi in Russia tra l’agosto e il settembre del 1999 e che fecero più di trecento vittime; attentati, ufficialmente attribuiti ai separatisti ceceni, che sarebbero stati realizzati per giustificare la ripresa delle operazioni militari russe in Cecenia. In un suo libro successivo (Gang from Lubyanka) Litvinenko accusò Putin di essere il responsabile del suo avvelenamento e il mandante dell’assassinio di Anna Politkovskaja.
Putin ha usato l’arma del terrore contro chi soltanto si azzardava a manifestare il proprio dissenso dalla sua politica e della delegittimazione degli avversari, con tutti i mezzi, a qualsiasi titolo, nel contempo accumulando per sé e la sua ristretta cerchia fortune immense sparse per il mondo che difficilmente con l’applicazione delle sanzioni economiche e finanziarie potrà goderne. Immaginiamo lo stato d’animo di colui che voleva, come hanno detto tante volte i suoi ideologi, “spiritualizzare” l’Europa… Un bel modo, quello di usare le tecniche apprese dal Kgb e messe in pratica prima a San Pietroburgo e poi a Mosca.
Il suo dilagante potere non è mai stato volto alla restaurazione dello spirito russo nell’ex-impero sovietico, ma soltanto proteso al dominio personale utilizzando le grandi risorse della nazione a cominciare dalle materie prime. È per questo che chi gli ha messo i bastoni tra le ruote ha finito per farsi male.
Ora tocca all’Ucraina. E il martirio della nazione che fu secoli fa il cuore della “russità” ricorda l’Holodomor, la carestia programmata da Stalin nel 1936: anche allora gli ucraini soffrirono e si ripresero. Piansero sulla loro miseria e sugli oppositori avviati nei gulag. Ma non gli accadde di dover piangere cento bambini uccisi, una madre massacrata con i suoi figli che correva verso la libertà e migliaia di vittime di un uomo crudele e forse impazzito consapevole forse della sua solitudine, della sua debolezza. A Mosca perfino i figli degli oligarchi, ormai, lo contestano apertamente, sfidando la sua livida rabbia ed il suo oscuro potere.