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La corsa al riarmo del Dragone. Pechino aumenta il budget alla Difesa

La Repubblica popolare Cinese aumenta il budget per le sue Forze armate. L’Esercito di liberazione popolare riceverà nel 2022 1.450 miliardi di renminbi (230 miliardi di dollari), pari al 7,1% del Pil. È la cifra più alta mai stanziata da Pechino e il balzo più significativo dal 2019

Il governo della Repubblica Popolare Cinese ha intenzione di aumentare la propria spesa per la Difesa dall’attuale 6,8% del Pil al 7,1% di quest’anno. Un’impennata del valore di circa 1.450 miliardi di renminbi, più o meno 230 miliardi di dollari. L’obiettivo, secondo Pechino, è quello di salvaguardare la sua sovranità, sicurezza e interessi di sviluppo. Ad annunciarlo è stato il primo ministro cinese Li Keqiang, durante la presentazione del bilancio annuale al Congresso nazionale del popolo, il massimo organo legislativo del Paese.

Investimenti a tutto tondo

Qualora venisse approvato, l’aumento del budget destinato alle spese militari sarebbe il più sostanzioso da quattro anni a questa parte, nonché il più sostanzioso. L’impegno, che secondo Pechino sarà diretto al miglioramento dell’addestramento e la prontezza al combattimento di tutte le forze armate cinesi, l’Esercito di liberazione popolare, oltre che per lo sviluppo tecnologico di nuove armi, caccia stealth e, soprattutto, le nuove portaerei per la marina militare di Pechino. Sempre secondo Li, la Cina continuerà nelle riforme del proprio strumento bellico, intensificando al contempo le tecnologie della Difesa: “Il governo deve dare un forte sostegno allo sviluppo della difesa nazionale, in modo che l’unità tra militari, governo, e popolo rimanga solida come una roccia”.

Nervosismi di Pechino

L’innalzamento delle spese, inoltre, sembra rispondere anche a un crescente nervosismo da parte del governo cinese su diversi fronti. Pechino non ha dimostrato un particolare supporto per l’iniziativa russa in Ucraina, e la Cina potrebbe non condividere l’azione di forza del suo vicino. Inoltre, la crescente presenza degli Stati Uniti nel Mar Cinese Meridionale, e le rinnovate preoccupazioni Usa su un possibile “colpo di mano” su Taiwan, hanno aumentato la pressione sulla Repubblica Popolare. A questo va aggiunta anche una crescita economica rallentata, per gli standard del Dragone, a circa il 5,5%, e con un vasto settore come quello immobiliare in flessione.

L’attenzione di Washington

Nonostante il bilancio previsto sia solo un terzo della spesa programmata dagli Stati Uniti, Washington e i suoi partner regionali (Tokyo e Taipei in testa) stanno osservando molto da vicino le decisioni del governo cinese. Al di là delle singole voci di spesa, non diffuse da Pechino, l’innalzamento repentino del budget prefissato, sommato alle tensioni in Ucraina, preoccupano da vicino tutto l’Occidente, con un rischio crescente di tensioni militari anche nel quadrante indo-pacifico. Sul versante americano, inoltre, la presidenza di Joe Biden si accinge a richiedere al Congresso il budget da destinare alla difesa per il prossimo anno, superiore ai 770 miliardi di dollari. Il Pentagono, inoltre, ha iniziato un processo di modernizzazione delle sue forze terrestri, avviato già prima dell’invasione ucraina, ma reso più urgente dall’escalation imposta da Mosca.

La spesa cresce anche in Europa

Nel frattempo, anche in Europa si corre ai ripari, con l’aggressione a Kiev che ha sicuramente rappresentato un brusco risveglio per il Vecchio continente, con la guerra che torna alle sue porte. La Germania ha annunciato che aumenterà le spese militari a più del 2% del Pil, raggiungendo la soglia decisa dai Paesi Nato in Galles nel 2014, intesa sottoscritta anche dall’Italia. Anche la Polonia e la Danimarca stanno lavorando per raggiungere la soglia del 2%, con Copenaghen che punta a raggiungerla entro il 2033.

E in Italia?

In Italia, il premier Mario Draghi è intervenuto al Senato lanciando l’appello affinché il nostro Paese investa nella Difesa “più di quanto abbia mai fatto”, posizione sostenuta anche dal ministro della Difesa, Lorenzo Guerini. Anche la politica si è dimostrata ricettiva, compattandosi intorno alla necessità che l’Italia riveda le proprie previsioni di spesa militare in un’ottica di potenziamento dello strumento difensivo nazionale ed europeo, oltre che per aumentare la dissuasione esercitata dall’Alleanza Atlantica.


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