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Al governo Draghi non ci sono alternative. Il mosaico di Fusi

I partiti sono trascinati nel gorgo pre-elettorale e non difficilmente si faranno sedurre da altre valutazioni. Tra le quali, tuttavia, ci sarebbe quella di essere più seri nei riguardi delle emergenze nazionali e continentali. Whisful thinking, al momento

Nel question time a Montecitorio, Mario Draghi ha risposto piccato alle contestazioni di Fratelli d’Italia sulla riforma del catasto. Materia incandescente visto che in Commissione Finanze la maggioranza si è spaccata con tutto il centrodestra a votare contro e il provvedimento approvato con appena un voto di differenza. In aula, non più alla Camera bensì al Senato dove i numeri sono più ballerini, il pericolo è che il governo vada sotto. In questa eventualità, più d’uno ha pronunciato la parola dimissioni. Ma si può fare la crisi sulla riforma del catasto mentre i venti di guerra infuriano e le atrocità non risparmiano nessuno, nemmeno gli ospedali pediatrici; l’approvvigionamento energetico è a rischio; il costo della benzina è in continua impennata e perfino i segnali di ripresa economica cominciano a esaurirsi?

Vediamo. Il presidente del Consiglio ha definito “emotivo” l’atteggiamento fortissimamente contrario del partito di Giorgia Meloni nei riguardi della riforma. Ma ha reagito con altrettanta emotività alle accuse di voler aumentare la pressione fiscale: se dico di no dovreste credermi, visto che questo governo una credibilità nel non voler aumentare le tasse se l’è guadagnata, è stato il concetto espresso.

Diciamo allora che l’emotività non è l’atteggiamento migliore in casi simili. Quando infatti si profila una questione divisiva in una coalizione a maggior ragione se così composita, fare a sportellate, pur se emozionali, non conviene a nessuno. Non tragga in inganno l’argomento per cui FdI è fuori dalla maggioranza: in Parlamento i voti della Meloni hanno marciato di pari passo con quelli di Salvini e Berlusconi, provocando divaricazioni nei centristi.

Inoltre perché, emozione per emozione, quella elettorale alla fine fa premio su tutto e in tutti gli schieramenti. Meglio il dialogo, il confronto e una trattativa che produca un accordo. Infatti dopo i fuochi d’artificio polemici, adesso palazzo Chigi cerca di mediare per definire un compromesso accettabile. Dovrebbe riuscirci. Primo perché, come detto, i pericoli di scivolamento nei voti sono palesi e del resto procedere avendo contro Lega e FI non è agevole. Come extrema ratio Draghi potrebbe porre la fiducia precettando le forze politiche che lo sostengono. Ma a parte che comunque ci sarebbe un voto finale senza fiducia, la realtà è che si tratterebbe di un gesto di sfida molto forte verso un pezzo essenziale delle “larghe intese”.

Questo porta al secondo motivo che consiglia il negoziato, anche fino allo sfinimento. La possibilità che l’esecutivo esca con le ossa rotte e davvero si arrivi alla crisi più che un possibile percorso è un fantasma privo di consistenza. In primo luogo non si capisce chi concretamente farebbe la crisi: non il centrodestra già uscito sconfitto e perciò a maggior ragione se dovesse alla fine prevalere negli scrutini. E nemmeno il centrosinistra che dopo aver esaltato la stabilità come bene fondamentale, non può caricarsi la responsabilità di sfasciare tutto. L’unico che potrebbe rovesciare il tavolo è lo stesso SuperMario che, sfibrato dalle continue beghe tra i partiti, anche qui potrebbe far vincere l’emotività e salire al Colle per dimettersi. Tuttavia l’ipotesi più verosimile è che il capo dello Stato lo rimanderebbe alle Camere per verificare se la maggioranza esiste ancora: tutti i partiti che lo sostengono voterebbero la fiducia e si ricomincerebbe daccapo.

Quali considerazioni possono emergere in un quadro siffatto? Allo stato, le solite. E cioè che al governo Draghi non ci sono alternative e quelle minacciate – dalla crisi appunto alle elezioni anticipate – sono impraticabili e capaci di produrre fosche inquietudini per il Paese. Che il presidente del Consiglio, chiusa negativamente per lui la partita del Quirinale, è necessariamente inchiodato dov’è, e ha pochi margini di manovra. Guai tuttavia a sottovalutare l’orgoglio di un personaggio che si è accollato un compito tremendo e che è deciso a mantenere gli impegni con l’Europa. E infine che i partiti sono trascinati nel gorgo pre-elettorale e non difficilmente si faranno sedurre da altre valutazioni. Tra le quali, tuttavia, ci sarebbe quella di essere più seri nei riguardi delle emergenze nazionali e continentali. Whisful thinking, al momento.


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