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Rubli al posto dei dollari. Putin corre verso il default

Mosca continua a ribadire di voler rimborsare i creditori internazionali con una moneta che vale qualcosa in più della carta straccia. Ma i contratti che regolano bond e obbligazioni prevedono pagamenti in dollari e se gli investitori dovessero negare le transazioni in rubli, sarà default immediato. Non succede dal 1998

La Russia è il Titanic e Vladimir Putin è il capitano E.J. Smith. Che, al pari del leggendario capitano inglese, forse non ha calcolato bene tutti i rischi. Per esempio quello di rimborsare i creditori esteri che hanno sottoscritto bond di Stato, prestando miliardi all’economia russa ormai prossima al collasso, in rubli e non in dollari, come altresì impongono contratti internazionali che regolano le obbligazioni statali. Peccato che ad oggi un rublo valga poco più di 0,008 euro e 0,009 dollari. Praticamente nulla.

Il Cremlino, in altre parole, vuole provare a vendere carta straccia i creditori che invece si aspettano un rimborso in dollari, come sempre avvenuto finora. La situazione è delicata e rischia di diventare dinamite allo stato puro. Se, infatti, i sottoscrittori di bond dovessero rifiutarsi di accettare un pagamento in rubli, per la Russia si aprirebbero le porte del fallimento automatico. Che, per le tre principali agenzie di rating globali, è solo questione di tempo.

Anton Siluanov, ministro delle finanze russo, ha ribadito in più occasioni gli obiettivi di Mosca, ovvero pagare in rubli quello che andrebbe onorato in dollari. Una scelta “assolutamente equa”, se non altro “fino a quando le sanzioni occidentali non scongeleranno 300 miliardi di dollari di riserve del Paese”, ha detto l’esponente del governo russo. Peccato che, secondo Jp Morgan, Mosca dovrebbe pagare, entro il prossimo mercoledì, un totale di 117 milioni di interessi su due obbligazioni. In dollari.

Eppure nessuno dei contratti obbligazionari dà alla Russia la possibilità di pagare in rubli, perché, ha scritto il Financial Times, i titoli di debito in dollari vanno saldati in dollari, punto. A questo punto non c’è che attendere il default reale del debito russo, insolvente a tutti gli effetti verso il mercato. Attenzione però, perché a farsi male sarebbero anche i giganti dell’economia russa, a cominciare da Gazprom e Rosneft.

Una eventuale insolvenza di Mosca, infatti, coinvolgerebbe inevitabilmente anche i gruppi a partecipazione pubblica, a cominciare dai colossi del gas e del petrolio Gazprom e Rosneft, le cui obbligazioni sono presenti in molti prodotti del risparmio gestito collegati ai mercati emergenti e venduti anche in Italia. Senza considerare che la fiducia verso Mosca è ai minimi storici. Come ci si può fidare di un Paese la cui Borsa è chiusa ormai da tre settimane? Gli scambi azionari sulla Borsa di Mosca resteranno infatti chiusi per tutta la settimana, dal 14 al 18 marzo.

Se insolvenza sarà, i problemi non riguarderanno solo la Russia, che del resto ormai è stata già estromessa con le sanzioni da moltissime transazioni con le economie avanzate. Ci sarà anche un impatto sugli altri Paesi e arriverà tramite 4 principali canali. Il primo, ha spiegato Alexandre Birry, capo della ricerca di S&P sulle istituzioni finanziarie, è quello degli scambi commerciali con la Russia. “L’impatto più forte sarebbe in Europa centrale e dell’Est, ma sarebbe rilevante anche in tutti i Paesi con scambi significativi con la Russia e in quelli che risultano dipendenti dal suo gas naturale o petrolio”.

Insomma, Putin è al comando di una nave prossima allo schianto. L’ultima volta che la Russia non è riuscita a onorare il proprio debito, o è andata in default, correva l’anno 1998. Era il mese di agosto, a Mosca il presidente era Boris Eltsin, in Italia governava Romano Prodi e c’era ancora la lira.



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