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Papa Francesco svela il programma del Pontificato

Quello fatto davanti ai vescovi brasiliani dopo il pranzo di ieri in arcivescovado a Rio, è il più grande e significativo discorso di Francesco da quando siede sul trono di Pietro. “Una scossa che segna un passo in avanti nel cammino del pontificato”, scrive su Vatican Insider Andrea Tornielli. A certificarlo (nel caso qualcuno avesse dei dubbi) è direttamente la Sala stampa della Santa Sede. E’ stato un sabato intenso, quello di Bergoglio, sul cui volto per la prima volta comparivano i segni della fatica. Prima la messa nella cattedrale di Rio, poi il discorso ai politici riuniti nel teatro municipale della metropoli carioca, quindi le parole pronunciate al termine del pranzo con i vescovi brasiliani. Ed è qui che con forza e chiarezza, Francesco ha gettato sul tavolo il programma del Pontificato. Non più linee guida sommarie da decifrare, ma punti chiari spiegati uno a uno. Senza perifrasi né ambiguità diplomatiche. Francesco premette che “più che un discorso formale” si tratta di “alcune riflessioni”.

“Senza semplicità, la missione fallisce”

E subito, ecco che il Papa parla di “Aparecida: chiave di lettura per la missione della chiesa”. Il titolo lo dà lui, e fa capire tutto. “Ci sono pezzi di un mistero, come tessere di un mosaico, che incontriamo e vediamo. Noi vogliamo vedere troppo in fretta il tutto e Dio invece si fa vedere pian piano. Anche la Chiesa deve imparare questa attesa. Forse abbiamo ridotto il nostro parlare del mistero ad una spiegazione razionale; nella gente, invece, il mistero entra dal cuore”. Ed è questa la strada da seguire, senza dubbio alcuno: quella della “chiesa che fa spazio al mistero di Dio. Una chiesa che alberga in se stessa tale mistero, in modo che esso possa incantare la gente, attirarla”. E poi il costante richiamo alle periferie, all’uscita: “Parliamo di missione, di chiesa missionaria. Senza la semplicità, la nostra missione è destinata al fallimento”.

“Non abbiamo la potenza di un transatlantico”

Riflette poi, il Papa, sulla “barca della chiesa” che “non ha la potenza dei grandi transatlantici che varcano gli oceani”. E questo, per Bergoglio, non è affatto un problema: “Dio vuole manifestarsi attraverso i nostri mezzi, mezzi poveri, perché è sempre Lui che agisce. Servono certamente la tenacia, la fatica, il lavoro, la programmazione, l’organizzazione, ma prima di tutto bisogna sapere che la forza della chiesa non abita in se stessa, bensì nelle acque profonde di Dio”. Parla di “lezione da ricordare sempre” quando dice che “la chiesa non può allontanarsi dalla semplicità, altrimenti disimpara il linguaggio del Magistero” e suggerisce ai vescovi di imparare al più presto “la grammatica della semplicità” .

Una chiesa “troppo fredda e autoreferenziale”

Non teme di essere frainteso quando, citando John Newman, il Pontefice dice che “il mondo cristiano sta gradualmente diventando sterile”. Bergoglio invita a darsi una mossa, “a non cedere al disincanto, allo scoraggiamento, alle lamentele”. Parla del “mistero difficile della gente che lascia la chiesa, persone che dopo essersi lasciate illudere da altre proposte, ritengono che ormai la chiesa non possa offrire più qualcosa di significativo e importante”. La causa di tutto ciò, degli edifici di culto vuoti, delle vocazioni in calo costante, è da ricercare al proprio interno: “Forse la chiesa è apparsa troppo debole, forse troppo lontana dai loro bisogni, forse troppo povera per rispondere alle loro inquietudini, forse troppo fredda nei loro confronti, forse troppo autoreferenziale, forse prigioniera dei propri rigidi linguaggi”. Ed è qui che Francesco tuona: “Forse il mondo sembra aver reso la chiesa un relitto del passato, insufficiente per le nuove domande”. Che fare, dunque? “Serve una chiesa capace di intercettare la loro strada, di inserirsi nella loro conversazione, che sappia dialogare”. Una chiesa, insomma, di “missione permanente”, che vada in periferia per fare “conversione spirituale”, recuperando chi si è smarrito, “per ridare cittadinanza” a chi si è smarrito “nell’esodo”.

Valorizzare “l’elemento locale della chiesa”

Ma è nella parte finale che il Papa scuote le coscienze dei presenti, ponendo loro domande cui è lui stesso a dare risposta: “Siamo ancora una chiesa capace di riscaldare il cuore? Tanti se ne sono andati perché è stato loro promesso qualcosa di più alto, qualcosa di più forte, qualcosa di più veloce”. Alla chiesa “serve una rete di testimonianze regionali che assicurino non l’unanimità, ma la vera unità nella ricchezza della diversità”, ha detto Bergoglio riferendosi alla realtà brasiliana ma prendendo ad esempio quel particolare contesto per parlare di tutte le anime che compongono la chiesa nel mondo. E’ la collegialità, che Francesco aveva richiamato anche nell’omelia pronunciata in San Pietro il 29 giugno scorso, legandola comunque al primato petrino. Il Pontefice punta sulla “valorizzazione crescente dell’elemento locale e regionale”, perché “non è sufficiente la burocrazia centrale”.



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