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Cos’è l’inflazione appiccicosa e perché dobbiamo preoccuparci

Da uno studio della Fed è partito l’allarme. I prezzi di alcuni beni, una volta infiammati, poi possono rientrare in un range “normale”, come quelli dell’energia. Ma non tutti, ci sono servizi e costi che non scendono più, erodendo lentamente redditi e pensioni. Gli “sticky prices”, ovvero la variante del carovita che va temuta di più

Chi ha sempre immaginato l’inflazione come qualcosa di molto democratico, che colpisce indiscriminatamente ogni bene, dovrà ricredersi. Anche nei mesi terribili delle bollette impazzite, della benzina e del gasolio oltre i 2 euro e del salto del buio dell’Europa verso un’energia non più targata Russia, il rincaro di materie prime, servizi e beni di consumi prefigurano uno strano scenario. Tradotto, alcune voci, non appena l’ondata inflattiva avrà raggiunto il suo apice, cominceranno a diminuire, mentre altre no, rimarranno piuttosto sostenute per lungo tempo.

Si tratta della cosiddetta inflazione appiccicosa, tecnicamente sticky prices, quando cioè il costo legato a un determinato bene invece di rientrare in un range ideale di prezzo, ne rimane al di sopra senza più tornare indietro. La questione è seria, tanto da finire al centro dei lavori del meeting della Federal Reserve, al via proprio in questi giorni. D’altronde, è stato proprio uno studio curato dalla stessa banca centrale americana guidata da Jerome Powell ha lanciare l’allarme, distinguendo tra prezzi scivolosi, che cioè una volta aumentati poi diminuiscono e, per l’appunto appiccicosi, non in grado di tornare ai livelli pre-crisi.

Un bel problema per redditi e pensioni, se si va a guardare alla nomenclatura dei beni cosiddetti scivolosi, tra cui figurano il carburante, il noleggio auto, la frutta e la verdura. Va bene, ma l’economia di ogni giorno è molto altro e non certo solo un pieno di gasolio o una spesa dal fruttivendolo. Tra i prezzi alla base dell’inflazione appiccicosa, ci sono per esempio l’affitto, i servizi di assistenza medica, l’istruzione e il costo del lavoro, ovvero la parte di reddito che viene girata in tasse (e l’Italia su questo ne sa qualcosa). Tutte queste voci, mentre l’inflazione in Europa viaggia al 5,1%, erodono inevitabilmente i redditi nel lungo termine, svolgendo un’azione lenta e inesorabile simile alle onde del mare sulle coste.

Anche Bloomberg si è occupata della questione, spiegando che mentre l’inflazione dei beni durevoli rallenta, i prezzi dei servizi core (come la sanità) stanno accelerando. E Anche l’inflazione degli affitti, al 7,4% negli Usa, rischia di non tornare indietro. Ma c’è di più. L’inflazione chiama inflazione, che dunque alla fine diventa appiccicosa perché strutturale. Se il consumatore crede infatti che i prezzi stiano salendo, acquisterà ora piuttosto che dopo e l’aumento della domanda provoca effettivamente un aumento dei prezzi. Negli anni ’70, questo è esattamente quello che è successo. La gente pensava che i prezzi sarebbero aumentati, il che ha fatto salire i prezzi, dando vita a una spirale che alla fine si è tradotta in un’inflazione appiccicosa.

Certo, molto può fare la politica monetaria. In queste ore la Fed riunirà il board per attuare quella stretta annunciata in più occasioni nei mesi scorsi. Secondo gli economisti delle Generali, la banca centrale aumenterà il tasso ufficiale di 25 punti base, segnalando l’inizio di una serie di rialzi. “Prevediamo rialzi almeno a maggio e giugno, per almeno cinque aumenti complessivi quest’anno. Un sesto aumento sarà possibile se l’inflazione continuerà a crescere anche in settori non troppo colpiti dall’impennata dei prezzi dell’energia. Ma la Fed dovrà anche tenere in considerazione i rischi al ribasso per la crescita e l’occupazione derivanti dagli alti prezzi delle materie prime”.

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