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Mosca e Kiev? Entrambe sconfitte. Parla Gaiani

Il direttore di Analisi Difesa: “La Russia vuole, oltre al controllo sulla Crimea, la totale neutralità dell’Ucraina. Dunque una sostanziale smilitarizzazione del Paese. In modo tale che l’Ucraina diventi il ‘cuscinetto’ tra Mosca e la Nato”

I negoziati sono in sostanziale stallo. Mosca e Kiev non trovano un accordo per cessare il conflitto che sta insanguinando l’Ucraina, ma che sta costando molto anche alla Russia. Sia in termini economici che in termini di vite umane. L’epilogo che preconizza Gianandrea Gaiani, direttore della rivista Analisi Difesa e attento osservatore degli equilibri geopolitici, è che entrambi i belligeranti abbiano già perso. Chiaramente però, a fronte di chi perde, c’è sempre qualcuno che vince. “Ma certamente non è l’Europa”.

Gaiani, chi sono i vincitori di questa guerra?

Sicuramente la Cina è tra i vincitori, così come gli Stati Uniti.

Qual è il ruolo della Cina in questo conflitto?

Diplomaticamente la Pechino sostiene Mosca, ma è un appoggio comunque moderato. Anche perché la Cina, dal canto suo, cerca di evitare eventuali sanzioni che potrebbero essere inflitte. Per questo non può sbilanciarsi troppo.

E gli Usa?

Gli Usa incassano il sostanziale allineamento dell’Europa agli interessi atlantici. A proposito di sconfitti, invece, le aziende europee sono da annoverare tra coloro che da questo conflitto ne usciranno massacrati. Dal punto di vista commerciale temo un’ecatombe di imprese. Saranno costrette a produrre con costi molto più alti a fronte dei rincari che si stanno verificando. Il risultato è che i prezzi dei prodotti finali saranno più alti e dunque fuori mercato. Questa congiuntura porterà alla perdita di competitività delle realtà imprenditoriali.

A queste condizioni, un negoziato è possibile?

Trattare è necessario. Nessuno ingaggia un conflitto per combattere per sempre. E’ chiaro che la Russia vuole, oltre al controllo sulla Crimea, la totale neutralità dell’Ucraina. Dunque una sostanziale smilitarizzazione del Paese. In modo tale che l’Ucraina diventi il ‘cuscinetto’ tra Mosca e la Nato.

Secondo lei perché Putin e i suoi ministri non hanno mai utilizzato la parola ‘guerra’ in riferimento al fronte ucraino?

Perché in effetti per loro si tratta di un’operazione speciale, non di una guerra. Quello ucraino, per i russi, è un popolo fratello. Un quarto degli ucraini ha il doppio passaporto e la stragrande maggioranza delle popolazioni ha legami affetti tra i due paesi. Ed è anche questo uno dei motivi per i quali le operazioni militari russe vanno a rilento. L’obiettivo di Putin non è uccidere civili, bensì conquistare punti strategici.

Però di civili ne sono morti. 

Certo, ed è un dramma. Ed è uno dei motivi per i quali occorre lavorare affinché questo conflitto finisca il prima possibile. Cercando di essere, nella valutazione degli interessi in gioco, il più possibile scevri dalla partigianeria. In un senso o in un altro. La cosa che manca, in questo conflitto, è proprio la capacità di essere osservatori oggettivi, senza bisogno per forza di prendere le parti di qualcuno.

Invece l’Italia una posizione l’ha presa, non poteva certo scostarsi dagli altri partner europei o dalla linea atlantista professata da Mario Draghi. 

Io credo che l’Italia decidendo di inviare le armi all’Ucraina abbia commesso un errore strategico, perché si è vista depotenziata della sua capacità diplomatica. Il nostro è un Paese che, tradizionalmente, ha intrecciato buoni rapporti di dialogo con la Russia. Oggi, queste relazioni consolidate non sono più spendibili. Questa mossa italiana ha aperto un vuoto. Colmato dalla Bielorussia, filo-Putin ma non ostile all’Ucraina; dalla Turchia e da Israele.

Da cosa è determinato questo iper attivismo di Bennett e, soprattutto, che ruolo gioca Israele?

Israele ha rapporti consolidati con Kiev, ma tiene ad avere un buon legame anche con Mosca. Teniamo presente che la Russia, tra le altre cose, controlla le basi in Siria. Dunque l’interesse di Israele è quello di salvaguardare equilibri che potrebbero impattare pesantemente sullo scacchiere mediorientale.

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