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I cinque fallimenti dello Zar. Il bilancio di Arditti

Oggi come oggi il conflitto è già molto oltre quello visibile nei combattimenti per le strade di Mariupol o alle porte di Kiev. Ragione per cui siamo nel passaggio più delicato della storia contemporanea, ben più difficile da gestire del pur drammatico 11 settembre 2001

A quasi un mese dall’avvio delle operazioni militari in Ucraina un primo bilancio è possibile ed è assai negativo per Vladimir Putin, la cui difficoltà è riassumibile in cinque punti.

Innanzitutto l’offensiva non ha condotto al rapido controllo della nazione invasa, rendendo quindi necessario ragionare su una diversa strategia per terra, mare ed aria. Ciò significa rilevante dispendio di risorse economiche, militari e umane, tutti fattori ampiamente disponibili a Mosca ma non per questo da considerare in quantità illimitate. Insomma, per dirla in breve, oggi Putin non controlla l’Ucraina mentre invece era convinto che a questa data ne avrebbe avuto il sostanziale dominio, magari da rifinire in questa o quella zona (ad ovest in particolare).

Questa prima evidenza ne porta con sé una seconda di micidiale effetto dentro e fuori i confini nazionali (russi): le forze armate del Cremlino si stanno rivelando assai meno performanti di quanto raccontato negli ultimi due decenni e stanno mostrando spaventosi limiti di addestramento, di sviluppo tecnologico, di logistica ed equipaggiamento, per non parlare della diffusa sensazione di morale a terra presente nei più giovani. In sostanza stanno cercando di tenersi alla larga dal combattimento con l’esercito ucraino (sulla carta assai più fragile e decisamente meno numeroso) preferendo una logica di distruzione totale con missili e bombe. Ciò induce a domande velenose (che certamente saranno in questi giorni oggetto di confronto durissimo nell’establishment a Mosca) su come sono state spese le enorme risorse investite negli anni.

Poi c’è un terzo punto, che riguarda direttamente il Presidente ucraino Zelensky. Oggi è una figura di rilievo mondiale, mentre un mese fa era in declino nei sondaggi tra i suoi stessi elettori e concittadini. Oggi è in grado di prendere la parola nei Parlamenti di tutto il mondo libero, mentre ieri era nelle serie C delle visite di Stato per le cancellerie che contano. Oggi è il leader di un popolo che lotta per la sopravvivenza, mentre ieri era l’ex attore vincitore di elezioni grazie all’appoggio di ricchi sostenitori, guardato con sospetto da mezzo mondo. Putin cioè non solo non è riuscito (sin qui) a farlo fuori, ma ne ha fatto un mezzo (o forse intero) eroe da libri di storia.

Al quarto posto (ma non si tratta di una classifica) c’è la reazione europea che la guerra voluta dalla Russia sta generando. Una reazione che è politica ma anche militare, emotiva ma anche morale. Insomma Putin ha inferto un colpo mortale ad ogni logica di rapporto preferenziale tra ovest ed est del continente, mettendo in discussione una continuità tra San Pietroburgo, Londra, Berlino, Parigi e Roma che invece molti hanno cercato di incoraggiare negli anni e che oggi appare agonizzante tra le macerie ucraine. Ciò consegna la Russia ad un rapporto preferenziale con la Cina? Può darsi, ma la storia in questo parla chiaro. Non sarà certo Pechino ad inchinarsi allo Zar, perché ormai la differenza è incolmabile (Pil Cina 2019 13.000 miliardi di dollari contro Pil Russia 1.800 miliardi di dollari, dati Fmi 2019), anche in considerazione del fatto che la Russia esporta materie prime e poco altro.

Infine c’è un tema economico, i cui sviluppi sono assai poco chiari. Una cosa però è certa: le sanzioni funzioneranno e saranno dolori per la Russia, non senza però conseguenze negative anche per gli altri, a cominciare da Italia e Germania. Comunque tutta l’Europa sta avviando programmi di disimpegno dal petrolio russo e dal gas russo, il che costringerà anche Mosca a rivedere tutti i progetti (e gli impianti) dedicati all’esportazione, con enorme dispendio di risorse e tempi tutt’altro che certi. Sul piano finanziario vedremo come andrà a finire, ma l’indebolimento del rublo non sarà evitato da mosse come quella di ieri sui pagamenti delle forniture, capaci solo di dare respiro momentaneo.

Attenzione però a dare per chiusa la partita. La Russia è immensa, il suo ruolo geopolitico non è mai di secondo piano. Al vertice c’è una piramide di potere con forza consolidata in oltre due decenni di dominio assoluto e risorse economiche (e di intelligence) di cui sappiamo molto ma non certo tutto. Nessuno scommetta quindi su un passo indietro ragionevole di Putin, capace di arrendersi all’evidenza di una tragica avventura andata storta nel primo mese. I rischi di un’escalation verso la guerra chimica, batteriologica o nucleare ci sono tutti e non credo che a Mosca ci sia voglia di arrendersi.

Molti poi dicono e scrivono di possibile colpo di Stato contro Putin, ma potrebbero essere e restare a lungo divagazioni velleitarie.

Oggi come oggi il conflitto è già molto oltre quello visibile nei combattimenti per le strade di Mariupol o alle porte di Kiev. Ragione per cui siamo nel passaggio più delicato della storia contemporanea, ben più difficile da gestire del pur drammatico 11 settembre 2001.



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