Al momento centrodestra e centrosinistra sono due mezze mele che non combaciano né sono autosufficienti. Brutalmente: una zavorra che frena ogni ipotesi di crescita e di ritrovata autorevolezza. C’è Draghi, è vero. Ma da solo non basta. Il mosaico di Carlo Fusi
Lo spartiacque della guerra in Ucraina non aiuta a distinguere centrodestra e centrosinistra. Piuttosto paradossalmente li mischia, li confonde e li sgretola. Ne viene fuori una melassa dai contorni indefiniti senza che questo offuschi alcune figure che emergono. Il problema non è il destino di contenitori politici che sono obsoleti e non più rispondenti al sentiment dei cittadini. Quanto la questione decisiva della governabilità di un Paese esposto, per scellerate scelte passate, più di altri nella Ue alla dipendenza energetica dalla Russia; e terreno di lotta, spesso sotterranea e quindi subdola, tra chi occhieggia a Mosca e chi sta dalla parte della Nato e dell’Occidente. In realtà dovrebbe essere questo il nuovo discrimine geo-politico e non v’è dubbio che lo sia adesso e per gli anni a venire. Ma da noi tutto è più confuso, incerto, nebbioso. E la governabilità resta tema insoluto e inquietante.
Che i due contenitori di centrodestra e centrosinistra siano franati lo si era capito già all’inizio della legislatura con il clamoroso successo dei 5 Stelle, terzopolisti esegeti del né-né: né con gli uni né con gli altri. E più ancora con il governo gialloverde, espressione dell’autonomia di Matteo Salvini e della disinvoltura nelle alleanze dei grillini. Quell’esperienza è fallita dopo due anni ed è stata sostituita dall’intesa giallorossa nata all’insegna del trasformismo di Giuseppe Conte, capace di guidare entrambe le maggioranze restando a Palazzo Chigi.
L’arrivo di Mario Draghi successivo al naufragio anche della liaison tra Pd e M5S; la gara per il Quirinale con i giochi trasversali sulle candidature e infine, appunto, l’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe di Putin, stanno facendo il resto. Nel centrodestra, le ambiguità di Salvini e i silenzi di Berlusconi, uniti alle mosse atlantiste di Giorgia Meloni, confermano un cesura sulla politica estera e di difesa che mal si concilia con un progetto di governo possibile. Sono divaricazioni che affondano le loro radici nell’identità stessa delle forze che si assiepano in quell’unico contenitore creato una trentina di anni da dal Cavaliere. Il cemento è la convenienza complice una legge elettorale che resta di tipo bipolarista, ma nei confronti della quale gli elettori mostrano vistosi segni di insofferenza e abbandono.
Per certi versi ancor più complicate sono le cose nel fronte opposto. La vera e decisiva novità politica sta nell’atteggiamento di forte e univoco sostegno a Kiev da parte di Enrico Letta, e nel rafforzato legame con SuperMario. Quella assunta dal segretario del Pd è una posizione coraggiosa che radica il maggior partito della sinistra nel solco di una genuina conferma dell’appartenenza alla Ue e all’Occidente. Di tutt’altro avviso, però, è il maggior alleato di Letta. I 5 Stelle infatti per un verso sulla guerra sono agnostici, per l’altro continuano a coltivare posizioni anti-sistema che se diventassero maggioritarie svellerebbero l’Italia dal suo tradizionale ancoraggio geo-politico. E farebbero rinascere una sorta di conventio ad excludendum tale da rendere la prospettiva di governo un miraggio. Giuseppe Conte è ormai lontanissimo da essere “il fortissimo riferimento delle forze progressiste” secondo l’accezione zingarettiana. Ma resta fondamentale, benché prosciugato nei consensi, per qualunque ipotesi di successo elettorale del cartello di centrosinistra.
E dunque? Dunque Letta non può né tantomeno vuole ridimensionare la portata politica delle sue scelte. Al contrario, mira a farla diventare il perno del sistema-Paese. Il che costringe a pressare il M5S in particolare nella versione di Di Maio facendolo convergere, per rafforzarla, sull’agenda Draghi. Il rischio è una scissione pentastellata dai contorni e dalle conseguenze indecifrabili.
Nel frattempo, forze variamente centriste cercano di assumere un profilo identitario capace di essere riconoscibile dagli elettori. È il caso di Giovanni Toti e della sua “Italia al centro” che nasce oggi. Ma anche lì tante e troppe sono le incognite, a partire dalle ambizioni di Calenda e dalla spregiudicatezza di Matteo Renzi.
Insomma l’Italia si avvicina alle elezioni del prossimo anno con una legge elettorale che costringe alle coalizioni mentre queste ultime appaiono sempre più “liquide” e smembrate. È possibile – e magari a questo punto auspicabile – che il dramma della guerra ridisegni leadership e schieramenti. Perché l’Italia ha bisogno come il pane di una guida sicura e di una maggioranza adeguata alle sfide che ci attendono. Al momento centrodestra e centrosinistra sono due mezze mele che non combaciano né sono autosufficienti. Brutalmente: una zavorra che frena ogni ipotesi di crescita e di ritrovata autorevolezza. C’è Draghi, è vero. Ma da solo non basta.