Il Cremlino alza la posta, Francia e Germania vedono, sperando sia un bluff. La Russia ha approntato un sistema di conversione con Gazprombank per salvare la faccia e la credibilità del suo ultimatum, che scadeva oggi. Ma non si tratta solo di gas: il viaggio di Lavrov a Nuova Delhi dimostra che Mosca intende minare il potere del dollaro (e dell’euro) sui mercati mondiali. Il prossimo nodo saranno le materie prime
Oggi, 31 marzo, sarebbe il d-day per gli Stati “ostili alla Russia” che Mosca vuole costringere a pagare le forniture energetiche in rubli. Vladimir Putin ha firmato un decreto apposito, che impone (da venerdì primo aprile) di pagare il gas solamente in rubli e prevede che i contratti esistenti vengano congelati in caso di violazione.
“Per comprare gas naturale russo, [i Paesi ostili] devono aprire conti in rubli in banche russe. È da quei conti che verranno eseguiti i pagamenti per il gas consegnato a partire da domani,” ha annunciato Putin in tv. Per poi aggiungere: “nessuno ci vende nulla gratis, e neppure noi facciamo carità. Quindi”, in caso di inadempienza, “i contratti esistenti saranno fermati”.
Francia e Germania hanno reagito subito respingendo la mossa unilaterale, definendola un ricatto e reiterando che pagheranno le forniture nella valuta concordata. Al termine di una conferenza bilaterale con l’omologo tedesco, Robert Habeck, il ministro dell’economia francese Bruno Le Maire ha invitato a “prendere in considerazione tutti gli scenari” avvertendo di “prepararsi, perché domani potrebbe non esserci più gas russo”. Habeck ha sottolineato la necessità di “non dare segnali riguardo all’essere oggetto di ricatto da parte di Putin” e avvertito che bisogna contemplare anche lo stop completo delle importazioni di gas.
Frattura reale o di facciata?
Si tratta di un’altra giravolta da parte del Cremlino, che ieri – via il portavoce Dmitry Peskov – aveva fatto un passo indietro rispetto all’ultimatum iniziale di Putin, sostenendo che il nuovo regime di pagamento non sarebbe “assolutamente” iniziato oggi. Ma vale la pena esplorare le meccaniche del meccanismo annunciato da Mosca, perché all’atto pratico potrebbe comunque garantire lo status quo – consentendo a Putin di continuare a incassare gli euro e salvarsi la faccia allo stesso tempo.
Leggendo il comunicato del Cremlino, Tass spiega che Gazprombank – l’istituto del colosso dell’energia che non è soggetto a sanzioni – aprirà dei “conti speciali” in rubli per gli acquirenti di gas e si occuperà della conversione delle valute. La Banca centrale russa ha dieci giorni per stabilire la procedura di creazione di questi conti, secondo il documento.
In altre parole, i Paesi occidentali sarebbero comunque in grado di pagare nelle loro valute (solitamente euro o dollari) direttamente a Gazprombank, cosa che avrebbero fatto comunque: c’è solo un passaggio in più, ideato per rafforzare il potere del rublo. Del resto le forniture sono un’arma a doppio taglio: se è vero che l’Ue dipende dagli idrocarburi russi, è vero anche che la Russia, che barcolla sotto i colpi delle sanzioni, dipende dai pagamenti europei, che secondo gli analisti di Bruegel ammontano a 800 milioni di euro al giorno.
A riprova di tutto questo c’è un’altra dichiarazione del Cremlino, che specifica come la parte russa intenda continuare a onorare gli obblighi contrattuali, compresi il volume di forniture e il loro prezzo. “Non ci saranno cambiamenti per i destinatari del gas russo che pagano per queste consegne. In ogni caso, essi acquistano rubli utilizzando la stessa valuta specificata nei contratti. La Russia rimane impegnata in tutti gli obblighi previsti dai contratti e dagli accordi esistenti, in termini di quantità, prezzo e così via”, ha detto Peskov giovedì.
Allargando il campo…
Resta però il fatto, incontestabile, che il teatrino del Cremlino funzioni: grazie alle minacce della scorsa settimana, oggi il rublo ha essenzialmente ripristinato il proprio valore contro il dollaro rispetto al periodo prima dell’invasione. Inoltre, pur inviando meno gas all’Ue, la Russia sta guadagnando di più grazie all’aumento dei prezzi, per cui le forniture spot costano dalle cinque alle otto volte in più rispetto all’anno scorso.
Naturale che queste mosse servano a rinforzare il rublo e rinsaldare l’economia, lo stesso principio dietro la proposta russa all’India di utilizzare il sistema di pagamento russo Spfs (alternativo a Swift) per i cambi rupie-rubli. Il sistema, che l’India starebbe considerando, aprirebbe un canale diretto di pagamento tra i due Paesi. Il ministro degli esteri russo Sergey Lavrov in queste ore è a Nuova Delhi per affrontare il discorso col governo di Narendra Modi, che si è già guadagnato un rimprovero da parte degli Stati Uniti.
C’è anche la minaccia, più distante ma molto reale, espressa dal capo della Duma Vyacheslav Volodin: il sistema di pagamenti in rubli potrebbe essere esteso ad altre materie prime, tra cui fertilizzanti, grano, oli alimentari, carbone, legname. Mercoledì Peskov ha detto che il Cremlino avrebbe preso in considerazione l’eventualità, specie considerando che “certi Paesi mostrano interesse per i pagamenti bilaterali in valute nazionali”. Tutti sforzi che collimano con l’obiettivo dichiarato dalla Russia (nonché la Cina) di porre fine alla dominanza del dollaro nell’economia mondiale.