Skip to main content

Quale futuro per il Fcas? Risponde il gen. Camporini

Il progetto franco-tedesco-spagnolo del caccia di 6a generazione si ridefinisce dopo le novità nella Difesa tedesca, prima fra tutte l’adesione all’F-35. Si tratta di uno dei programmi europei del futuro (con la speranza che si ricongiunga al Tempest anglo-italo-svedese), spiega ad Airpress il generale Camporini, e potrebbe rispettare la data del 2040. Salvo nodi politici…

Dopo la scelta della Germania di entrare a far parte del programma F-35 si sollevano sempre più interrogativi sullo stato del progetto Fcas. Il piano franco-tedesco-spagnolo per la realizzazione del caccia di sesta generazione, che dovrà andare a sostituire nel 2040 gli Eurofighter tedeschi e spagnoli e i Rafale francesi. Due velivoli (F-35 e Fcas) che di per sé non sono alternativi tra loro. Al di là delle previsioni, l’auspicio è che i due programmi europei sui velivoli di sesta generazione, il Fcas e il Tempest (portato avanti dall’Italia insieme al Regno Unito e alla Svezia) possano alla fine convergere. Il punto per Airpress del generale Vincenzo Camporini, già capo di Stato maggiore della Difesa e dell’Aeronautica.

Il Fcas è sempre più in difficoltà dopo la scelta della Germania di acquistare gli F-35. Mentre ha posticipato la necessità per Berlino di un caccia di sesta generazione, avendo appena acquisito quelli di quinta, per la Francia il Fcas è necessario già dal 2040. Questo cambia le necessità tra i due azionisti principali del progetto? E cosa comporta?

La Germania ha deciso di acquistare un numero limitato di F-35 allo scopo di adempiere a uno degli obblighi assunti nell’ambito dell’Alleanza Atlantica, quello del “nuclear sharing”. Questa decisione non rappresenta un’alternativa al caccia di sesta generazione, che rimane un’esigenza anche per Berlino. A conferma di ciò, nel frattempo il Paese ha espresso la necessità di un ulteriore lotto di velivoli Eurofighter, che sono mezzi di quarta generazione. Credo che la collaborazione sul Fcas porterà alla realizzazione del progetto entro il 2040. Questo non credo avrà ostacoli dal punto di vista tecnico, poi da quello politico, tutto è possibile.

Se per Dassault non avere il Fcas non sarebbe un problema (visti gli ordini per il Rafale che arrivano al 2036) per l’Aeronautica militare francese c’è un problema impellente. La Francia ha fatto male i suoi calcoli?

Dobbiamo ricordarci che l’industria aeronautica ha tempi lunghissimi ed è un settore estremamente complesso. Un ufficio tecnico di un’azienda non può certo restare fermo nella progettazione di una macchina di nuova generazione. Mentre nella fabbrica vengono prodotti i mezzi già sviluppati, deve proseguire nel suo lavoro progettando le soluzioni del futuro. Questo vale anche per gli F-35 e gli aerei di sesta generazione. Per questo non vedo nessuna spaccatura temporale. Ora Dassault vuole lavorare al progetto del Fcas, a prescindere dal fatto che nel frattempo le sue officine stiano producendo i Rafale.

Le divergenze sul Fcas tra le due capitali, Berlino e Parigi, riportano in auge un riallineamento con il Tempest fino a portare all’unione dei due progetti per il caccia di sesta generazione?

È un auspicio che molti abbiamo, anche se non sarà facile. Man mano che il tempo passa, i due progetti, del Fcas e del Tempest, si consolidano, e sarà sempre più difficile farli convergere. Tuttavia, è chiaro che dal punto di vista concettuale l’unificazione di più progetti in uno solo sarebbe molto più che desiderabile e auspicabile, la definirei una vera e propria esigenza.

Perché è un’esigenza?

Per due motivi. Primo, perché unificando la produzione sarebbe possibile costruire molti più velivoli. Significherebbe sfruttare i vantaggi delle economie di scala, eventualità impossibile con due programmi paralleli. Il secondo motivo riguarda la semplificazione logistica straordinaria che si avrebbe unificando le produzioni. Durante la Guerra fredda, la maggior parte dei Paesi Nato aveva lo Starfighter. Io stesso ne pilotavo uno, e quando giravo per l’Europa non avevo nessun problema di carattere tecnico: ovunque atterrassi c’era qualcuno che poteva mettere mano al mio aeroplano e ripararlo. Se si allineassero i programmi si avrebbe di nuovo questa possibilità. Naturalmente, prerequisito sarebbe che la maggioranza dei Paesi europei si dotasse di un unico modello. Anche in questo caso, però, bisogna fare i conti con quelle che sono le ambizioni nazionali, che troppo spesso nascono da esigenze industriali più che da motivi di efficienza e razionalità.



×

Iscriviti alla newsletter