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Gengis-Putin e la nuova Katyn. Scrive Ciccotti

A Katyn vennero massacrati tutti i quadri dell’esercito polacco nel 1940. Arrestati dai sovietici furono scaricati brutalmente nella foresta e barbaramente uccisi. Il “caso” vuole che tra Bucha e Katyn non ci siano molti chilometri. La logica del massacro è però identica. Cancellare una popolazione. O gran parte di essa. Purtroppo gli autori sono gli stessi, dopo ottanta anni

Il condottiero-conquistatore-imperatore che mise insieme l’impero più potente e vasto della Storia, in Asia, superando anche l’impero romano nel suo periodo di massima espansione (II secolo a.C., sotto Traiano), fu probabilmente Gengis Khan, il re mongolo. All’inizio del XIII secolo (prima vittoria nel 1209 ai danni del regno di Xixia a Keymen) diede inizio ad una serie di rapide e vittoriose campagne militari che, nel giro di venti anni, gli consentì di creare un impero-stato che andava dal Mar Caspio al Mar Giallo. Gli storici hanno studiato la sua tecnica militare e pare concordino oltre che con una maestria nell’uso della cavalleria, nel modus operandi verso i villaggi e le città conquistate.

Le truppe di Gengis Khan bruciavano le case (a quel tempo la maggioranza era edificata con paglia, legno e fango) e trucidavano i civili con scene raccapriccianti. Di ogni villaggio lasciavano pochi superstiti affinché testimoniassero della ferocia dei soldati conquistatori. Poi le truppe rallentavano, per un poco, le marce militari, permettendo ai superstiti di raggiungere paesi e villaggi ancora non attaccati e di riportare i massacri e le inaudite violenze subìte.

Quando le truppe del Gran Khan arrivavano gran parte dei resistenti erano già fuggiti, diversi soldati disertavano dopo aver ascoltato i racconti, per cui i pochi che combattevano venivano subito sopraffatti dagli abili arcieri e cavalieri mongoli. Gengis Khan intendeva cancellare le popolazioni sottomesse, operare dei genocidi in ogni area conquistata, lasciando solo giovani donne, che avevano il compito di mettere al mondo i bambini concepiti dopo lo stupro ad opera dei soldati di occupazione.

I cadaveri ucraini, militari e civili, uomini e donne, anziani e bambini, massacrati, violentati, deturpati, schiacciati dei cingoli dei carri armati, lasciati per le strade di Bucha e di altri cittadine dell’Ucraina in questi giorni, ad opera di feroci e disumani combattenti, non sappiamo ancora se dell’esercito regolare russo o stranieri o ceceni, lo scopriremo pian piano, sembra sia l’identica iconografia posta in atto otto secoli fa da Gengis Khan.

Lasciare corpi solo in parte occultati o sepolti appositamente in malo modo, altri completamente visibili nelle violenze e amputazioni subite, è una precisa orrenda strategia comunicativa. Corpi bloccati, come in un fermo-fotogramma, nell’ultimo momento di vita che ancora pulsava, nel fango, su una strada sterrata, di traverso sul ciglio di un marciapiede, sull’asfalto, svolgono una funzione comunicativa: ammoniscono terrorizzando. Chi? Tutti. Non solo la popolazione di uno Stato sovrano invaso, ma anche il mondo intero: “Attenti!”, pare dicano, “siamo pronti a farlo anche con altri Stati, contro chiunque voglia aiutare l’Ucraina”.

Le truppe di occupazione, regolari e non, quando non rispettano la Convenzione di Ginevra sulla «guerra umanitaria» e si abbandonano a efferatezze contro militari nemici o civili, perdono il totale controllo dell’etica militare. I loro capi e capetti scivolano in un dualismo psicopatico: in alcune azioni prevale il perverso desiderio di occultare i cadaveri ripulendo la scena del delitto; in altre, l’altrettanto perverso desiderio di sbatterli sotto gli occhi per terrorizzare.

Ecco che si scoprono le fosse con decine e centinaia di cadaveri. In un bosco vicino a Bucha scene raccapriccianti ci hanno mostrato il tentativo di nascondere un eccidio che da molti è stato paragonato a quello di Katyn, nel 1940, avvenuto nella foresta bielorussa. A Katyn vennero massacrati tutti i quadri dell’esercito polacco. Agli ufficiali arrestati dai sovietici venne detto che sarebbero stati condotti nelle prigioni militari ad Est, e trattati secondo la convenzione di Ginevra. Furono invece scaricati brutalmente nella foresta di Katyn e barbaramente uccisi. I sovietici, sotto ordine di Stalin, per anni costruirono finte prove, con fotografie e filmati, atti ad accusare i tedeschi del massacro. Solo nel 1990 venne fuori la verità.

Debbo al grande regista Andrej Wajda (del quale amai scoprire nei cineclub romani degli anni Settanta KanałI dannati di Varsavia, 1957, e Cenere e diamanti, 1958, con il James Dean polacco, il mitico Zbigniew Cybulski) e al suo bel film Katyn (2007), presentato al Festival di Torino grazie a Nanni Moretti e poi a Venezia, se ho conosciuto il massacro degli ufficiali polacchi. Il film venne vietato per alcuni anni nella Russia “democratica” post 1990.

Il “caso” vuole che tra Bucha e Katyn non ci siano molti chilometri. La logica del massacro è però identica. Cancellare una popolazione. O gran parte di essa. Purtroppo gli autori sono gli stessi, dopo ottanta anni.

Qualche anno fa lo studioso Vladimir Rozasnskij scriveva che «l’isolamento internazionale della Russia, rivendicato dal consigliere di Putin, Vladislav Surkov, come unica via possibile di politica estera del Paese, ricorda l’impostazione geopolitica dei mongoli». Negli ultimi ventiquattro mesi tale politica è stata corretta da Putin tramite alleanze esplicite con Cina e Corea del Nord, ed implicite, ossia commerciali, con l’India. Alleanze necessarie a far risorgere un progetto “espansivo” in una area che non disturbi le potenze asiatiche. Siamo di nuovo all’“Europa slava” satellite di Mosca?

(Foto: barricate al centro di Odessa)



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