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La guerra in Ucraina spinge l’inflazione in Africa

L’inflazione africana corre ed è anche dipendente dagli effetti della guerra in Ucraina. L’Africa potrebbe essere il continente che più di tutti subirà gli effetti dell’invasione lanciata da Vladimir Putin

L’aumento dei prezzi delle commodities e di vari prodotti essenziali come il grano, connesso alla guerra in ucraina, sta contribuendo ad aumentare l’inflazione in diversi Paesi africani. Tra questi un esempio è il Ghana, dove il tasso inflativo è salito al 15,7 per cento, con una perdita di quasi 16 punti percentuali rispetto al dollaro del valore della sua valuta, il cedi. Questioni simili riguardano altri Paesi africani, come la Nigeria, l’Egitto, l’Etiopia, il Sudan e la Somalia.

L’aspetto di fondo su quanto sta accadendo è stato spiegato nella newsletter di John Authers di Bloomberg: l’aumento dell’inflazione può mettere in difficoltà i sistemi di governo dei Paesi non sviluppati, producendo turbolenze tra le collettività che potrebbero portare a disordini e rivoluzioni, spostando le opinioni pubbliche verso la richiesta di sistemi più democratici. Si tratta di dinamiche complesse, con sviluppi complessi, che val la pena tenere d’occhio.

Nel tentativo di attutire il morso economico, il governo ghanese nelle scorse settimane ha annunciato una serie di misure fiscali per sostenere le finanze pubbliche in modo da contenere “le due forze che stanno plasmando gli eventi globali”, come il ministro delle Finanze di Accra ha definito la guerra russa in Ucraina e la pandemia. “La guerra in Ucraina sta avendo un impatto di vasta portata […] e l’Africa è probabilmente tra i più colpiti al di fuori dell’Ucraina”, ha aggiunto.

Il peso finanziario sui portafogli ghanesi è immediato, fa notare Foreign Policy. Il sindacato nazionale dei tassisti ha minacciato di scioperare a causa dell’aumento dei costi del carburante. Gli agricoltori stanno riducendo la loro produzione a causa degli alti costi dei beni di prima necessità; la Russia è il primo esportatore mondiale di fertilizzante, che adesso viene venduto con un prezzo mediamente doppio rispetto al 2021.

Questo genere di dipendenza è stata affrontata dalla Nigeria, che ha aperto un impianto di fertilizzanti da 2,5 miliardi di dollari la scorsa settimana, nel tentativo di rendere il paese autosufficiente e guadagnare significativamente dalle esportazioni durante una carenza globale. Abuja guida l’economia africana, tuttavia soffre una problematica legata all’inflazione del tutto simile a quella del Ghana.

Il prezzo del gasolio è salito del 190 per cento per i nigeriani, poiché il paese dipende dalle importazioni, nonostante sia il più grande produttore di petrolio del continente. In questo caso il problema è noto: la Nigeria come altri Paesi africani ha poche raffinerie che funzionano, quindi esporta petrolio greggio e importa quasi tutto il suo petrolio raffinato, compresi benzina e diesel.

In Africa mancano diversi tipi di investimenti per permettere a quei Paesi di sfruttare le risorse in modo efficace (per questo l’idea di usare le produzioni africane per la differenziazione europea dalle forniture russe è complicata). Questi investimenti che potrebbero provenire dall’estero in molti casi sono bloccati per ragioni di sicurezza: l’instabilità politica e istituzionale (cinque colpi di stato nel 2021) e la presenza di gruppi armati di varia matrice (anche jihadista) sono fattori di rallentamento per la capacità di attrazione africana.

E le due questioni non sono disconnesse: nell’instabilità, nel caos, attecchiscono più facilmente le istanze dei gruppi, che creano proseliti e si rafforzano. Anche sotto quest’ottica un ulteriore deterioramento del quadro economico (producibile anche con la crescita non bilanciata dell’inflazione) diventa un fattore problematico.

Anche in Etiopia, il prezzo del fertilizzante è aumentato del 200 per cento, creando problemi all’agricoltura (che permette la sussistenza alimentare di milioni di cittadini). E in Sudan, il costo di un paniere alimentare medio è aumentato del 700 per cento negli ultimi due anni (da considerare che la Russia fornisce più dell’80 per cento del grano importati dal Sudan, e più del 7 è fornito dall’Ucraina). La Tunisia, che è vicina alla bancarotta di stato, ha aumentato i prezzi del carburante due volte in un mese.

Per la prima volta dopo diversi anni, il governo egiziano è intervenuto per fissare il prezzo del pane prodotto dai panifici privati, dopo che è raddoppiato nelle ultime settimane (l’Egitto è estremamente dipendente dal grano russo). La moneta egiziana, la sterlina, si è anche svalutata di quasi il 14 per cento rispetto al dollaro, mentre la banca centrale del paese ha aumentato i tassi di interesse e ha chiesto aiuto al Fondo Monetario Internazionale.

Nei giorni scorsi, il presidente ghanese, Nana Akufo-Addo, ha dichiarato con enfasi che il colpo di Stato non è una panacea alle difficoltà economiche del Ghana. È evidente che davanti a certe tensioni – non destinate a fermarsi – il ragionamento immediato è di questo genere, anche visti i precedenti dello scorso anno altrove nel continente, sebbene il Ghana sia un esempio di democrazia in Africa. Diversi Paesi africani sono portati a gestire le proprie decisioni sulla Russia all’interno dei consensi internazionali, come quelli dell’Onu, anche in funzione di questo contesto.



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