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Francesco Vito, un impegno tra etica ed economia. Il ricordo di Pedrizzi

Mezzogiorno

Nel nostro Paese non sono pochi i casi di ingiustificato oblio nei confronti di molti uomini di cultura che hanno operato nei primi decenni del secolo. Uno dei più eclatanti riguarda Francesco Vito. Il racconto del senatore Riccardo Pedrizzi

Cade quest’anno il centoventesimo anniversario della nascita di Francesco Vito e sicuramente anche questa occasione, per poterlo ricordare, non verrà colta, perché si tratta di un personaggio scomodo e fuori dal coro. Nel nostro Paese non sono pochi i casi di ingiustificato oblio nei confronti di molti uomini di cultura che hanno operato nei primi decenni del secolo. Uno dei più eclatanti riguarda Francesco Vito, l’economista e pensatore campano, che dal 1935 e fino alla morte, avvenuta il 6 aprile del ’68, fu titolare della cattedra di Economia Politica alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Cattolica di Milano.

Nato nel 1902 a Pignataro Maggiore in provincia di Caserta, Vito si era laureato nel 1925 presso l’Università di Napoli in Giurisprudenza e, dopo solo un anno, in Scienze Economiche, Politiche e Sociali. Nel 1928 consegue la terza laurea, in Filosofia, il cui studio reputava indispensabile per poter approfondire in tutti gli aspetti i temi che intende affrontare. Per perfezionarsi in Economia è a Monaco di Baviera nel 1928 29 e nell’anno accademico successivo si trasferisce a Berlino, ove collabora a pubblicazioni e riviste.

Vito riteneva necessario studiare a fondo, e sul campo, il sistema capitalistico proprio là dove questo stava avendo le trasformazioni più accelerate e gli sviluppi più interessanti. Per questo si reca negli Stati Uniti d’America ed a New York, presso la Columbia University, capitandovi proprio quando scoppia la grande crisi ed assistendo al crollo della Borsa ed alla fine di tutte le illusioni di coloro che avevano creduto fideisticamente nel mercato perfetto e nelle sue leggi.

In questo clima di disperazione Vito si trasferisce alla Chicago University, collegandosi agli studi di Schumpeter e von Beckerath. Ed è proprio in questo periodo che si va accentuando il fenomeno della separazione tra proprietà e direzione aziendale che sarà oggetto anche di celebri passaggi dell’enciclica di Pio XI Quadragesimo anno. Rientra, nel 1935 in Italia, dove vince il concorso a cattedra di Economia Politica alla Cattolica di Milano.

Sostenitore convinto per tutta la vita del superamento del capitalismo e fautore di un’economia organica, tanto da non apportare alcuna modifica o aggiustamento alle sue opere, Vito riteneva il problema etico dell’economia prioritario rispetto a tutti gli altri. Egli, inoltre, non tralasciava occasione per ribadire che lo sviluppo economico, se vuole coincidere con il progresso sociale e tendere alla realizzazione della persona umana, non può essere abbandonato a se stesso ed in balia della “perversità” del mercato, ma deve essere un obiettivo programmato di politica economica.

Proprio per questo lo Stato, in un’economia moderna ed a misura d’uomo, da garante del libero scambio deve farsi, in modo nuovo, garante del bene comune e della giustizia sociale. Il giovane economista cattolico aveva già partecipato nel 1934 alla 17° settimana delle Settimane Sociali con una relazione su La vita cattolica e le professioni nella storia, nella quale aveva preso in esame i rapporti tra la mentalità individualistica propria del capitalismo e la separazione dell’attività professionale dalla morale, nell’ottica di una visione corporativa della società.

Per questo Francesco Vito quando diventò Vicepresidente del Comitato Permanente delle Settimane Sociali tra gli anni 1948 e 1968 cercò dì realizzare un vero e proprio progetto culturale. Come noto gli appuntamenti dei cattolici italiani, iniziati nel lontano 1907 ed organizzati prima dall’Unione Popolare e successivamente dalla Giunta centrale dell’Azione Cattolica, si erano interrotti nel 1935 ed erano ripresi al termine del Secondo conflitto mondiale.

In questo vero e proprio interregno, però, egli aveva partecipato in prima persona e con autorevolezza al dibattito assai vivace di quel periodo di tempo, dopo aver nel 1935 assunto la titolarità della cattedra di Economia Politica alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, sostenendo la tesi di un’economia che, senza far propri i principi del socialismo utopico e marxiano, superasse i limiti dell’individualismo liberista e rendesse più sfumati i confini tra pubblico e privato.

Lo studioso meridionale aveva proiettato il suo ideale di Stato in quello corporativo. Questa sua concezione dell’economia e dello Stato, Vito, che se ne era fatto propugnatore in Italia ed in tutto il mondo, non rinnegò mai, nemmeno dopo il crollo del regime fascista, per cui con la ripresa delle Settimane Sociali cercò, utilizzando i suoi studi, approfondendoli ed aggiornandoli alla nuova realtà nazionale ed internazionale si pensi che non cambiò né epurò mai nemmeno i suoi testi universitari, che restarono fino alla sua morte, che avvenne il 6 aprile del 1968, sempre gli stessi dell’anteguerra di riprendere il suo itinerario culturale e scientifico, che non si era interrotto nemmeno nel periodo della guerra civile.

La ricostruzione del Paese, prima, ed il cosiddetto miracolo economico, poi, con la modificazione delle dimensioni dell’impresa ed i problemi connessi all’accentramento del potere nelle mani di lobbies e di gruppi economici ristretti; rappresentarono le fasi italiane cruciali, non solo della nostra economia ma della nostra storia, che Vito dovette affrontare nelle sue lezioni alle Settimane Sociali del dopoguerra.

Tra il 1946 ed il 1958 si dedica, in particolare, ai temi di politica sociale con lezioni che esaminano le varie proposte che da più parti vengono avanzate: dalla partecipazione dei dipendenti alla gestione ed agli utili dell’impresa (che riecheggia i dibattiti sviluppatisi già nel corso del breve periodo della Repubblica Sociale Italiana) alla riforma agraria, dalla diffusione generalizzata della sicurezza e delle assicurazioni sociali ai sistemi per tentare di risolvere la piaga della disoccupazione.

Basterebbe citare solamente questi argomenti per constatare l’importanza ed il livello della sua ricerca scientifica. (Per queste ed altre notizie vedi il mio I Proscritti: Pensatori alla sfida della modernità cap. XIX, edito da Pantheon, 252 pagg. 15,00 euro). Se si avesse, poi, la curiosità di andare a leggere i testi di questi interventi, si potrebbe sorprendentemente toccare con mano anche l’originalità e la novità del pensiero di questo autore, che, oltretutto, potrebbe essere utilizzato per tentare di contrastare il coro soffocante e pressoché unanime dei fautori di un libero mercato senza regole e della scientificità delle sue leggi.

Soprattutto i cattolici e chi, come noi, fa riferimento alla dottrina sociale cattolica ed al Magistero della Chiesa potrebbero trarre utili e validi insegnamenti per individuare quale debba essere oggi il compito di un economista cristiano. Dagli anni Cinquanta in poi si era perso di vista proprio questo compito. Per questo anche l’opera del Vito era stata posta ignominiosamente nel dimenticatoio. Solo sotto l’impulso dato da Giovanni Paolo II alla diffusione della Dottrina Sociale della Chiesa si riscoprì l’importanza di un’economia sociale di mercato che andasse oltre l’illusione che solo il libero mercato possa mettere tutto a posto, autoregolamentandosi.

Percorrendo questa strada bisognerà imbattersi prima o poi nell’opera di Francesco Vito, con la speranza che qualche giovane ricercatore, insofferente al predominio della scuola economica neoclassica, possa sentirsi stimolato a proseguire l’approfondimento di questo filone di pensiero anche se il cammino può apparire impervio e difficile, perché controcorrente e tutto da scoprire. Certi come siamo però che sia l’unico, che possa ricondurre l’economia, come sperava Vito, al servizio dell’uomo.



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