La Santa Sede ha reso noto che durante la Via Crucis una donna ucraina e una russa porteranno insieme la Croce, in silenzio alla XIII stazione. Sono due amiche e hanno accettato. La lettura di Riccardo Cristiano
Parlare di pace mentre si combatte ferocemente non è mai facile e la reazione dell’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede appare comprensibile, ma forse impulsiva. La Santa Sede ha infatti reso noto che durante la Via Crucis una donna ucraina e una russa porteranno insieme la Croce, in silenzio alla XIII stazione. Sono due amiche e hanno accettato. Ma l’ambasciatore ha lasciato intendere una difficoltà: “noi con i russi no”. Questo si può capire perché il ragionamento sotteso sembra evidente: noi siamo aggrediti, non ci uniamo alla Russia, l’aggressore.
Personalmente capisco nella drammaticità del momento, ma credo che dal punto di vista ucraino la scelta vaticana possa essere letta anche diversante. Al di là del significato evangelico, molto forte ed evidente, al di là dell’indicazione per la pace, anch’essa evidente, al di là dell’impegno di due donne che hanno avuto la forza di accettare, c’è un altro fattore su cui l’ambasciatore potrebbe riflettere.
Questa guerra è stata spiegata al suo inizio con una negazione. Proprio il presidente russo, Vladimir Putin, nel suo famoso discorso che avviò l’invasione, disse che l’Ucraina, il suo popolo in quanto tale, non esistono. Ora, venerdì sera davanti al mondo non si dirà esattamente il contrario? Quella coraggiosa donna russa con la sua sola presenza accanto a una donna ucraina non dirà che la sua amica esiste, come persona ma non solo come tale? Non avremo per la prima volta un volto che parla di Russia che riconoscerà un volto che parla di Ucraina? Certo, si avrà anche l’opposto, si avrà anche un volto che parla di Ucraina che riconosce un volto che parla di Russia. Ma questo non è stato posto in discussione.
Non è Kiev che ha negato l’esistenza della Russia, ma il presidente russo che ha negato l’esistenza dell’Ucraina. In questa scelta certamente di pace però c’è un riconoscimento di esistenza: tu esisti, dice la signora russa alla signora ucraina. E con questo si potrà capire anche che esiste il suo dolore, analogo ma non pari al dolore di tante madri russe che vedono i loro figli morire al fronte.
In definitiva a me sembra che la pace che quell’immagine indicherà non negherà, ma affermerà l’esistenza dell’altro. E questa potrebbe essere una comprensione meno istintiva, meno passionale, meno impulsiva, da parte dell’ambasciatore ucraino, che certo ha tutto il diritto all’impulsività. Ma gli amici veri non sono quelli che cedono all’emotività, ma quelli che aiutano a trovare una strada che comporti la soluzione del vero punto non negoziabile: la propria esistenza, la propria identità.
Le parole della meditazione che verrà letta quando le due donne saranno sotto la Croce non esprimono altro che il dolore di chi è dovuto fuggire: “Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloi, Eloi, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò. (Mc 15, 34. 36-37)”
Segue il testo scritto per l’occasione:
“La morte intorno. La vita che sembra perdere di valore. Tutto cambia in pochi secondi. L’esistenza, le giornate, la spensieratezza della neve d’inverno, l’andare a prendere i bambini a scuola, il lavoro, gli abbracci, le amicizie… tutto. Tutto perde improvvisamente valore. “Dove sei Signore? Dove ti sei nascosto? Vogliamo la nostra vita di prima. Perché tutto questo? Quale colpa abbiamo commesso? Perché ci hai abbandonato? Perché hai abbandonato i nostri popoli? Perché hai spaccato in questo modo le nostre famiglie? Perché non abbiamo più la voglia di sognare e di vivere? Perché le nostre terre sono diventate tenebrose come il Golgota?”.
Le lacrime sono finite. La rabbia ha lasciato il passo alla rassegnazione. Sappiamo che Tu ci ami, Signore, ma non lo sentiamo questo amore e questa cosa ci fa impazzire. Ci svegliamo al mattino e per qualche secondo siamo felici, ma poi ci ricordiamo subito quanto sarà difficile riconciliarci. Signore dove sei? Parla nel silenzio della morte e della divisione ed insegnaci a fare pace, ad essere fratelli e sorelle, a ricostruire ciò che le bombe avrebbero voluto annientare”.
Insegnare ad essere fratelli presuppone il riconoscimento dell’altro nella diversità, anche questo, o se si vuole soprattutto questo, l’ambasciatore potrebbe considerarlo se potesse trovare la forza di un po’ di difficile freddezza in tanta concitazione.