L’incrociatore russo è affondato, portandosi a picco un altro pezzo dell’immagine di potenza che Putin voleva affidare alla campagna militare ucraina. Il Cremlino all’angolo potrebbe essere molto preoccupante
Una fonte militare ucraina fa sapere in via informale che il mare davanti a Odessa “era brutto, ma non così brutto”, e dunque “il Moskva è probabilmente affondato perché danneggiato in modo molto grave dai missili che lo hanno colpito”. C’è una fitta cortina fumogena sull’accaduto: sul Mar Nero c’era maltempo, tanto che le immagini satellitari sembrano non disponibili. Le dichiarazioni delle due parti sono farcite di propaganda e narrazione, perché la vicenda è una di quelle che potrebbe segnare il corso della guerra.
Secondo la versione russa l’incrociatore portabandiera della Flotta del Mar Nero è colato a picco mentre era al traino dei rimorchiatori, che lo stavano portando al porto di Sebastopoli (in Crimea, dove la flotta ha stanza da dopo l’occupazione del 2014). Era danneggiato da quello che il ministero della Difesa russo ha sempre definito un incendio probabilmente esploso nel locale armi. La nave non avrebbe retto il mare grosso, ha perso stabilità ed è affondata.
La versione ucraina differisce perché imputa l’incendio come conseguenza di due colpi ben assestati: due missili Neptune hanno centrato la nave. I Neptune sono vettori da crociera anti-nave sviluppati sulla base dei Kh-35 sovietici, ma con una tecnologia molto più evoluta grazie al lavoro del Luch Design Bureau, azienda di Kiev specializzata nello sviluppo di componentistica militare. Il progetto di aggiornamento è del 2014, assolutamente collegato alla crescente minaccia russa dal Mar Nera, prodotta dall’annessione. Se venisse confermato che sono stati i Neptune, usati per la prima volta in battaglia, sarebbe un successo eccezionale per Kiev (e per la sua industria bellica).
Le ricostruzioni di Mosca e Kiev potrebbero essere sovrapponibili: i Neptune potrebbero aver colpito la santabarbara e da lì si potrebbero essere innescate esplosioni secondarie e l’incendio a bordo. Risultato: la nave è stata pesantemente danneggiata, non è affondata subito ma dopo qualche ora — colpita nella serata di mercoledì 13 aprile, affondata la notte di giovedì. Possibile che i russi, una volta messo in salvo l’equipaggio (al momento non si hanno notizie di vittime), abbiano provato ad attraccarla e riportarla al porto, senza successo. Possibile che, visti i danni, abbiano scelto di farla colare a picco, anche per evitare il rientro dell’ammiraglia pesantemente danneggiata. Va notato che la versione dell’incendio a bordo non sarebbe meno deleteria.
Nella vicenda l’immagine è tutto, più del valore della nave in sé; anche perché il Moskva non trasportava armi fondamentali per l’attacco — imbarcava missili anti-nave “Vulkan”, sistemi anti-aerei Fort” (simili agli S-300) e “Gecko”. Per ragioni di immagine la Russia potrebbe essere stata portata a negare di aver subito l’attacco. Il quale probabilmente è avvenuto per un errore tattico: la nave si era portata troppo sotto costa (inutilmente visto il suo ruolo), finendo nel raggio in cui i Neptune sono più efficaci.
Tutto ciò che è accaduto racchiude in sé molti degli aspetti negativi generali dell’invasione, dagli errori militari all’incapacità di sostenere con i fatti la volontà di potenza che Vladimir Putin intendeva trasmettere con l’aggressione all’Ucraina. Un messaggio di deterrenza che nei fatti sta andando malissimo, visto anche come la Nato si sta compattando.
Per stazza, è la più grossa perdita navale in un conflitto dai tempi della Seconda guerra mondiale — paragonabile solo l’affondamento dell’incrociatore della marina argentina “General Belgrano”, più piccolo, affondato da un siluro lanciato dal sottomarino nucleare inglese “HMS Conqueror” durante la guerra delle Falkland.
È un colpo duro per Mosca, che potrebbe spingere Putin a schiacciare l’acceleratore sulla volontà di prendere Odessa, e in generale sulla forza degli attacchi. Una forma di ritorsione per dimostrare di non essere in difficoltà — anzi. E qui si apre lo scenario delle preoccupazioni, su cui la vicenda del Moskva potrebbe avere un peso.
Durante una sessione di domande e risposte dopo un discorso tenuto al Georgia Institute of Technology, il direttore della Cia, William Burns, ha detto: “Data la potenziale disperazione del presidente Putin e della leadership russa, date le battute d’arresto che hanno affrontato finora militarmente, nessuno di noi può prendere alla leggera la minaccia posta da un potenziale ricorso alle armi nucleari tattiche o alle armi nucleari a basso rendimento”.
È la prima volta che un così alto funzionario dell’amministrazione statunitense descrive in pubblico la possibilità che Putin possa essere portato all’uso delle capacità nucleari per costruire una parvenza di vittoria nella guerra. E d’altronde, la vicenda del Moskva tanto quanto il ritiro da Kiev e il generale corso dell’invasione, dimostrano che le capacità convenzionali russe sono limitate.
Ma lo spettro della guerra atomica è spaventoso. Ancora di più se si considera da dove arriva — la Cia ha profonde informazioni di intelligence sia sulla guerra che sulla Russia — e da chi: Burns è stato ambasciatore a Mosca e conosce perfettamente il modus operandi e il pensiero del Cremlino e del suo leader. “Ho osservato nel corso degli anni Putin stufare in una combinazione incendiaria di rancore, ambizione e insicurezza”, ha detto Burns, spiegando che il presidente russo ha nutrito voglia di rappresaglia contro l’Occidente per decenni, convinto che gli Stati Uniti e la Nato (dunque l’Europa) abbiano approfittato della debolezza della Russia dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica.
Di più: Burns ha dato quella risposta sulle armi nucleari a una domanda posta dall’ex senatore Sam Nunn, democratico della Georgia, che ha contribuito a creare il programma che ha portato le armi nucleari fuori dall’Ucraina e da altri stati ex sovietici 30 anni fa.
Le armi nucleari tattiche sono a volte chiamate “atomiche da campo di battaglia”: più piccole, possono essere sparate da un mortaio o anche esplose come una mina, al contrario delle armi “strategiche” che sono messe su missili balistici (di solito a gittata intercontinentale). La Russia ha un grande arsenale di armi tattiche (gli Stati Uniti ne hanno relativamente poche): queste armi nucleari a basso rendimento sono state progettate per produrre un’esplosione abbastanza piccola, il che a volte produce confusione nel differenziarle con quelle convenzionali.
L’uso di questo genere di armamenti violerebbe una linea rossa americana e Nato. Anche per questo la Casa Bianca sta valutando l’ipotesi di inviare una delegazione di altissimo livello a Kiev, in modo da creare una forma di deterrenza politica che scoraggi il ricorso all’extrema ratio, l’arma atomica, Putin. Il consigliere per la Sicurezza nazionale statunitense, Jake Sullivan, ha detto che la Casa Bianca aveva brevemente anche considerato di far andare il presidente Joe Biden in Ucraina, ma non appena è diventato chiaro che tipo di sistema di sicurezza, che tipo di risorse richiederebbe agli ucraini così come agli Stati Uniti, l’idea è stata respinta.
Resta la possibilità che viaggino il segretario di Stato o il capo del Pentagono nella capitale ucraina. La guerra si stava muovendo verso una nuova fase che Putin vuole (e deve) assolutamente vincere, costi quel che costi. Forse anche per questo sulla vicenda della Moskva gli Stati Uniti sono rimasti cauti, senza sposare apertamente la versione ucraina.