Il dibattito conclusivo della campagna elettorale ha dimostrato che nessuno dei competitori ha la statura dei vecchi presidenti. Come ha scritto Le Figaro, se è vero che ogni campo ha trovato le sue ragioni, è pur vero che Macron e Le Pen hanno dato l’impressione che la “loro” Francia manca di visione politica e quindi è incapace di recitare un ruolo da protagonista sullo scenario europeo
Entrambi i contendenti hanno trovato i modi e le parole per potersi dire soddisfatti del dibattito che hanno animato. Tanto Emmanuel Macron quanto Marine Le Pen hanno solcato i campi a loro più congeniali: economia, finanze, sviluppo il primo; identità francese, Europa delle nazioni, polemiche sul quinquennato la seconda. Nessuno dei due ha acceso i cuori dei francesi. Rimasticature e vecchie gag politiche non hanno fatto ridere i telespettatori, molti dei quali si sono detti annoiati.
Giustificati da una situazione interna ed esterna non facile, sulla quale né Macron né tantomeno Le Pen hanno affondato colpi decisivi, tenendosi più o meno sulle generali, hanno dato vita a un confronto senz’anima. Nel quale il pragmatismo del presidente è emerso grazie alla sua preparazione tecnico-economica e forte della esperienza di governo. La “nuova” Le Pen, nel tentativo di sedurre l’elettorato di confine, si è proposta rassicurante, tranquilla, pacificatrice e ha gettato alle ortiche i temi classici della destra francese per non apparire eccessivamente ripetitiva. Insomma, la leader del Rassemblement National ha offerto un’immagine di se stessa lontana al cliché solito che fin qui l’ha “demonizzata”: una moderata per la quale – almeno questo abbiamo colto – l’euro e l’Islam non sono più i “pericoli” principali che paventava cinque anni fa.
Bisogna vedere, negli ultimi giorni di campagna elettorale, l’effetto che fa il nuovo look politico di Le Pen, mentre, dall’altro capo del campo, quasi già si brinda alla vittoria perché oggettivamente, nonostante i molti errori commessi, Macron sembra possedere, più per il ruolo ricoperto che per le intenzioni manifestate, una maggiore padronanza di ciò che i francesi si aspettano, vale a dire interventi sulle tasse, sicurezza, riguardo più alle preoccupazioni dei cittadini che a un’Europa che tanto lui, quanto gli altri suoi colleghi, non riescono a governare.
Le Pen assesta il suo colpo migliore quando dice, non senza l’approvazione dei telespettatori, almeno stando alle opinioni espresse subito dopo il dibattito, di voler essere “la presidente del quotidiano, della vita vera”, suscitando la risposta stizzita di Macron per il quale “stiamo tutti nella vita vera”. Ma non è così, perché la maggior parte dei francesi lo recepisce ancora come “il presidente dei ricchi”, l’esponente di punta dell’establishment, il candidato dell’élite. Ma questo non basta se, come rileva un sondaggio Ipsos pubblicato da Le Monde, ben il 39% del 45% dell’elettorato di Jean-Luc Mélenchon, leader di France Insoumise, voterà per Macron, mentre il restante 16% convergerà su Le Pen.
Insomma, l’assenza del Fronte repubblicano è stata sostituita dalla sinistra pur di costruire una barriera davanti all’ascesa della candidata della destra: magra consolazione per Mélenchon e per gli ecologisti che portano in dote a Macron tutto ciò per cui la sinistra lo ha contestato, ed in particolare una buona parte di quella borghesia conformista decisa a non cambiare mai a costo di farsi agnello sacrificale delle politiche sociali del presidente uscente.
Aver “inventato” suo malgrado i gilets jaunes, l’aver umiliato la Francia profonda con le sue politiche sociali, il non essersi calato tra le classi più umili per risolvere i loro problemi, l’aver utilizzato la retorica ecologista come acchiappavoti, fa di Macron un uomo fortunato per la pregiudiziale antisistema (e neppure tanto) che Le Pen ha continuato, sia pure da “moderata”, a portare avanti in questa campagna elettorale.
Se è vero che tra i due c’è un distacco di dieci punti, come asserisce Le Monde riportando sempre i dati di un sondaggio Ipsos, vuol dire che la Francia non vuole cambiare. E i “presidenziabili” che lo hanno capito non si spingono oltre i loro confini cercando di assemblare tutto ciò che è alla loro portata. Macron riuscirà probabilmente a vincere con l’apporto decisivo della sinistra, e ciò lo rende debole davanti al suo stesso elettorato di riferimento; Le Pen perderà per la seconda volta per il semplice fatto che in cinque anni non è stata capace di costruire una destra pari alle sue ambizioni, favorendo la nascita di Rêconquete dell’antagonista Éric Zemmour. La destra francese non è mai stata così divisa. E il che ha dell’incredibile se si considera lo sfaldamento del partito che si ispirava a De Gaulle, da Le Pen evocato, che insieme alle due formazioni, una parte di esso, avrebbe potuto mutare le sorti della competizione.
Il dibattito conclusivo della campagna elettorale ha dimostrato che nessuno dei competitori ha la statura dei vecchi presidenti (escluso Hollande, naturalmente). Come ha scritto Le Figaro stamattina, se è vero che ogni campo ha trovato le sue ragioni, è pur vero che Macron e Le Pen hanno dato l’impressione che la “loro” Francia manca di visione politica e quindi è incapace di recitare un ruolo da protagonista sullo scenario europeo.
Macron è dato vincente, ma la posta in palio non sarà tutta sua. Ci sarà poco meno della metà della Francia che lo guarderà con sospetto e, come nel passato, non lo amerà. Diventerà presidente perché gli avversari non sono stati in grado di sfidarlo sul suo terreno e chiamare i francesi a riprendersi ciò che l’alta finanza, il “sistema”, gli ha sottratto. A cominciare dall’orgoglio e da quella certa idea di grandezza alla quale nessun presidente prima del vecchio ragazzo di Amiens aveva mai rinunciato.