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Via dalla Seta. Così l’Italia si muove con Giappone e India

Draghi riceve il premier giapponese a Palazzo Chigi mentre Di Maio parte per Nuova Delhi. La guerra in Ucraina sta accendendo uno scontro più ampio tra democrazie e autocrazie. Ecco le mosse italiane su sicurezza e cooperazione economica, energetica e industriale

Se a soli tre anni dalla firma, dell’accordo del 2019 sulla Via della Seta non ne parla neanche più la diplomazia cinese, figuriamoci l’Italia di Mario Draghi che nemmeno un anno fa, al G7 di Carbis Bay, congelava di fatto quell’intesa con cui il governo gialloverde di Giuseppe Conte fece del nostro Paese il primo tra i Sette ad aderire al progetto di Pechino. Oggi l’assertività cinese e l’invasione russa dell’Ucraina hanno accelerato lo scontro tra modelli con le democrazie da una parte e le autocrazie dall’altra. Così, l’Italia sta cercando nuovi partner, industriali ma non soltanto, in Asia.

Arriviamo dunque a oggi (mercoledì 4 maggio, ndr), con il primo ministro giapponese Fumio Kishida a Palazzo Chigi per un incontro con il presidente del Consiglio italiano Draghi e il ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio in partenza per una missione in India per rilanciare l’articolato partenariato bilaterale. Il tutto a meno di un mese dalla visita del ministro della Difesa Lorenzo Guerini a Tokyo e a una settimana dal viaggio del presidente Draghi negli Stati Uniti per incontrare, primo leader europeo del G7 a farlo dall’inizio di quella che Mosca definisce “operazione militare speciale”, il presidente statunitense Joe Biden alla Casa Bianca.

Come raccontato su Formiche.net nei giorni scorsi, il Giappone conta molto sul sostegno dell’Italia, ribadito nel recente documento della Farnesina sul contributo italiano alla strategia europea per l’Indo-Pacifico, ai principi di un Indo-Pacifico libero e aperto, la strategia nippo-statunitense di contenimento della Cina. L’unità nella risposta alla Russia per l’invasione dell’Ucraina, la cooperazione sull’energia in risposta alla crisi alle porte dell’Europa, la necessità di rafforzare i partenariati industriali nei settori innovativi sono tutti temi toccati in conferenza stampa dal presidente Draghi per sottolineare la sintonia tra Roma e Tokyo. “È importante che tra le imprese dei nostri Paesi sia già iniziata una collaborazione in settori come energia, idrogeno, infrastrutture ferroviarie”, ha aggiunto il primo ministro Kishida.

L’Italia non ha un nome per definire questa svolta verso il Giappone. Tuttavia, sembra seguire la linea tracciata la scorsa settimana dal cancelliere tedesco Olaf Scholz in visita a Tokyo (primo tappa del suo viaggio a Est, una novità rispetto ai viaggi in Cina di chi l’ha preceduto, cioè Angela Merkel). Deglobalizzazione e protezionismo “non sono opzioni, soprattutto per le nazioni aperte e liberali”, ha detto. “Ciò di cui abbiamo bisogno, invece, è una globalizzazione differente, una globalizzazione più intelligente”, ha aggiunto.

Come ha efficacemente riassunto Agenzia Nova, la visita del leader giapponese in Europa – prima la tappa a Roma, poi quella a Londra per incontrare l’omologo Boris Johnson – avviene in un contesto di progressiva integrazione del Giappone all’architettura della sicurezza euro-atlantica. dopo l’estensione degli accordi di sicurezza oltre gli Stati Uniti, cominciando dal Regno Unito con diverse intese tra cui quella dello scorso dicembre per lo sviluppo congiunto di motori a reazione per aerei da combattimento di nuova generazione che ha fatto entrare indirettamente Tokyo nel novero dei Paesi che partecipano allo sviluppo del caccia Tempest, un programma aerospaziale che vede protagonista anche l’Italia.

Tale processo, già in atto nel quadro del crescente interesse della Nato per l’Indo-Pacifico, è stato ulteriormente accelerato dal conflitto in Ucraina, che vede il Giappone, che sta accelerando il processo di superamento del pacifismo sancito dall’Articolo 9 della sua Costituzione post-bellica, come tassello fondamentale dello sforzo di isolamento diplomatico ed economico della Russia sul piano globale. Il 7 aprile scorso il ministro degli Esteri giapponese Yoshimasa Hayashi ha partecipato alla ministeriale della Nato che si è svolta a Bruxelles, cui hanno preso parte anche i capi della diplomazia di 30 Paesi membri dell’Alleanza. Nell’occasione ha definito il conflitto intrapreso dalla Russia una “grave situazione che mina le fondamenta dell’intero ordine internazionale”. Inoltre, la scorsa settimana il segretario di Stato americano Antony Blinken ha annunciato che il Giappone prenderà parte al prossimo summit della Nato in programma a Madrid alla fine di giugno. Tokyo è vista dagli alleati, e probabilmente anche da sé stessa, come rappresentante dell’Occidente nel Sud-Est asiatico. Non è un caso, dunque, che il primo ministro Kishida, prima di arrivare in Europa (ha incontrato anche papa Francesco e il segretario di Stato vaticano Pietro Parolin con cui ha affrontato la questione del nucleare nordcoreano), abbia visitato Indonesia, Vietnam e Thailandia con l’intento appunto di rafforzare la risposta all’invasione russa dell’Ucraina nella regione, dove soltanto Singapore si è unito all’Occidente nelle sanzioni contro Mosca.

Commentando con Formiche.net la visita del primo ministro Kishida a Roma, Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto affari internazionali, ha spiegato: “Come Biden non smette di ricordare, la guerra russa in Ucraina è da inserire all’interno di uno scontro più ampio tra democrazie e autocrazie. Putin vuole presentare la resistenza ucraina come una grande crociata occidentale contro la Russia, West vs Rest. È fondamentale contrastare questa visione”. Come farlo? “Costruendo un sistema di alleanze più ampio che faccia leva su valori e visioni comuni. Da parte sua, Draghi può fare leva sul capitale politico accumulato l’anno scorso con la presidenza del G20”. Il Giappone “gioca un ruolo fondamentale”, ha continuato, essendo “un Paese chiaramente schierato nell’alleanza occidentale e al tempo stesso cruciale per parlare con quegli Stati collocati nella cosiddetta zona grigia, a partire dall’India”.

Come detto, la guerra in Ucraina ha cambiato il contesto internazionale. “Gli indiani temono il rafforzamento del rapporto Russia-Cina, con Mosca che uscirà dal conflitto più debole e ancora più dipendente da Pechino”, ha spiegato Ashley J. Tellis, senior fellow del Carnegie Endowement for International Peace, già membro del National Security Council americano, in un’intervista a Formiche.net.

Ecco che, dopo la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen che ha teso la mano a Nuova Delhi l’impegno dei 27 evidenziando l’impegno per un’alternativa democratica alla Via della Seta cinese (la strategia Global Gateway), anche il ministro Di Maio è al lavoro per agganciare l’India. È un attore chiave per la sicurezza nell’Indo-Pacifico, come dimostra la sua partecipazione nel formato di dialogo Quad (con Stati Uniti, Giappone e Australia), ma anche per gli aspetti industriali visti diversi fattori tra cui la sua forza demografica. Così, durante la sua tre giorni indiana, il ministro Di Maio affronterà dossier che vanno dalla cooperazione scientifica e tecnologica nei settori innovativi delle startup e dell’aerospazio fino al rafforzamento della cooperazione economica e industriale bilaterale e multilaterale, con uno sguardo specifico verso i settori della transizione energetica, della connettività e della mobilità sostenibile.

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