Il vertice tra Draghi e Kishida a Roma prepara la visita del premier italiano a Washington. Sul tavolo investimenti in idrogeno e mobilità sostenibile, con Guerini patto sulla Difesa. Nella campagna di contenimento russo e cinese Tokyo è un partner chiave
Difesa, energia, connettività. L’Italia di Mario Draghi accorcia le distanze con il Giappone di Fumio Kishida. Un’ora di vertice a Palazzo Chigi, nella mattinata di mercoledì, poi un pranzo di lavoro con le due delegazioni. Prima ancora, l’udienza da Papa Francesco e un bilaterale con il cardinale Segretario di Stato Vaticano Pietro Parolin.
È la prima di due tappe del tour europeo del premier nipponico, atteso a Londra da Boris Johnson giovedì. L’occasione cerimoniale – sono stati appena celebrati i 150 anni di relazioni diplomatiche tra Roma e Tokyo – non basta a spiegare la scelta di Kishida di dare priorità all’Italia.
È servita una crisi europea a rilanciare l’intesa tra Italia e Sol Levante, apparentemente distanti per priorità geografiche e strategiche. La guerra di Vladimir Putin in Ucraina ha ricompattato il fronte occidentale. Agli occhi degli Stati Uniti di Joe Biden Tokyo ha acquistato un peso specifico senza precedenti. Perno delle alleanze di contenimento della Cina nell’Indo-Pacifico, a partire dal Quad (con India, Australia e Usa), è ora attore protagonista nella campagna di isolamento che gli alleati atlantici stanno dirigendo nei confronti della Russia.
A Roma Kishida arriva dopo un tour nei tre Paesi più filorussi del Sud-Est asiatico: Vietnam, Indonesia, Tailandia. Obiettivo duplice: usare l’influenza economica e diplomatica per spingerli ad abbandonare la neutralità sulla guerra in Ucraina, già messa alla prova nei voti all’Assemblea dell’Onu, e aumentare la campagna di pressione sulla Cina di Xi Jinping e l’India di Narendra Modi, veri aghi della bilancia.
Con l’Italia il quadro di riferimento è il G7: quest’estate sarà la Germania a presiedere la riunione dei potenti del mondo, l’anno dopo toccherà al Giappone. A Palazzo Chigi si è discusso anzitutto di investimenti. Nella corsa alla diversificazione energetica per spezzare i lacci dal gas di Mosca, l’Italia guarda al Giappone per la ricerca e lo sviluppo nelle rinnovabili. È il caso dell’idrogeno, non a caso menzionato nelle ultime relazioni dei Servizi segreti e del Copasir come pilastro della transizione ecologica e della ricerca di altre fonti energetiche.
Sul tavolo ci sono nuovi investimenti di Toyota, il colosso dell’automobilistica giapponese, che in Italia vanta già due collaborazioni di peso sull’idrogeno, con Snam per la mobilità sostenibile e con Eni per le stazioni di rifornimento. Ma anche un rilancio della cooperazione, fra gli altri settori nella tecnologia Ccs (Carbon capturing storage), con Hitachi Rail, che vanta una presenza di peso nell’alta velocità italiana e lo scorso marzo ha firmato con Rete Ferroviaria italiana (Gruppo FS) un accordo quadro da 500 milioni di euro per la progettazione e la realizzazione dell’Ertms (European rail transport management system) su 700 chilometri di linee ferroviarie italiane.
In conferenza stampa Draghi ha richiamato il peso dell’interscambio con Tokyo e del turismo, augurandosi un allentamento delle misure del governo giapponese su visti e permessi che finora hanno impedito una vera ripartenza del comparto. Poi la condanna degli esperimenti nucleari della Corea del Nord, una priorità per il Giappone.
Oltre agli investimenti reciproci, Kishida ha voluto chiedere all’economista e banchiere Draghi un parere sul suo manifesto per un “nuovo capitalismo”, riassunto in un’intervista al Corriere della Sera come “un’ottica in cui pubblico e privato lavorino di pari passo per correggere fallimenti del mercato e diseconomie esterne”.
Sul fronte politico, per Draghi il vertice con Kishida, preceduto una settimana fa da un importante accordo di cooperazione militare firmato a Tokyo dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini, prepara il campo alla visita più importante da quando è entrato a Palazzo Chigi, quella in programma la prossima settimana a Washington Dc.
Tra i Paesi europei, l’Italia non è certo in prima fila per dare un contributo alla campagna anti-cinese di Biden e degli alleati americani nell’Indo-Pacifico, considerata una priorità alla Casa Bianca nonostante la guerra in Ucraina. E tuttavia la strategia che la Farnesina ha pubblicato per tracciare una road map italiana in quel quadrante non è passata inosservata a Washington come a Tokyo e dimostra che Roma non è tagliata fuori dalla mappa.
Se non altro – come ormai riconosce da tempo la diplomazia nipponica – è una nuova conferma del cambio di rotta della politica estera italiana nei confronti della Cina. I tempi dei memorandum, della Via della Seta e del 5G cinese sembrano più lontani. Il tempo per un nuovo asse atlantico che tenga conto tanto della sfida russa come di quella cinese è arrivato.