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Compie 90 anni Vampyr di Dreyer, metafora dell’Europa in guerra

Il 6 maggio del 1932, usciva a Berlino “Vampyr” di Carl Theodor Dreyer. Dopo i milioni di morti della Grande Guerra, in un periodo di pace che pareva senza fine, arrivava sugli schermi una storia ambientata nel tardo Ottocento, con toni lugubri, horror e demoniaci. “Vampyr” è il mostro che è dentro di noi? Tra di noi? Dreyer alludeva anche ai dittatori degli anni Trenta? “Vampyr” è un film attuale? È plausibile una lettura politica? Una nota di Eusebio Ciccotti

Un giovane uomo, Allan Grey, di bell’aspetto, con abito, cravatta, pochette nel taschino, giunge in una vecchia locanda, nei pressi di un lago. Il paesaggio spoglio, il cielo grigio, gli interni della locanda nudi, e il personale cupo; tutto appare senza colore, senza sole, appunto “grey”. Allan chiede una camera per passare la notte. Una donna di servizio, educata ma malmessa nella cura della persona, lo accompagna, con un misero candelabro, su per le scale. Allan entra nella camera con una finestra che dà sullo strano paesaggio. Il suo sguardo appare impaurito. Si corica. Durante la notte la chiave (dettaglio) interna della porta pian piano ruota. Allan si sveglia e guarda terrorizzato la porta che lentamente si apre. Un uomo distinto, con vestaglia da camera e un foulard intorno al collo, entra e avanza solennemente, ripreso in mezza figura dal basso. Guarda l’ospite senza proferire parola. Fa qualche passo avanti poi estrae dalla tasca della vestaglia un pacchetto e lo posa sul comodino. Allan ha gli occhi sgranati, la testa sul guanciale. L’uomo scrive sul pacchetto “Da aprire dopo la mia morte” (dettaglio). L’uomo esce. Allan è turbato.

Notte di luna piena

Sentendo dei rumori e delle voci si alza, si veste ed esce dalla locanda. È una notte di luna piena. Scorge delle ombre nel prato tra la locanda e il boschetto. Ne segue una, proiettata sull’erba. Giunge in un mulino abbandonato. Persone reali e ombre si alternano: un soldato con una gamba di legno e il moschetto a tracolla; un uomo minuto con dei baffoni (poi capiremo che è un ambiguo medico) e una donna anziana ben vestita (si rivelerà essere la vampira). Quando il dottore lo scorge nel mulino lo mette fuori. Nel prato ecco un’altra ombra. Allan segue anche questa e giunge in un antico maniero. Assiste a qualcosa e tenta di chiamare chi è in casa. Troppo tardi l’ombra del soldato zoppo si allontana, ha sparato contro qualcuno in casa. Allan picchia alle finestre, giunge con una candela il servitore. Insieme soccorrono un uomo che giace nel salotto: è il padrone, quello che ha fatto visita a Grey (in sogno o dal vero?).

La vittima è assistita negli ultimi minuti da Allan e dal servitore. Allan viene invitato a rimanere nel castello e conosce le due figlie dell’uomo ucciso: Léone e Gisèle. La prima è a letto malata, assistita da una suora cattolica (questa porta una corona del rosario al collo).

La vecchia succhia il sangue

La notte successiva, sempre di luna piena, Léone improvvisamente si alza dal letto esce e va nel bosco adiacente al castello. Gisèle, nella camera accanto mentre parla con Allan, la vede dalla finestra e dà l’allarme. Corrono fuori, ma essendo notte ci vuole tempo per ritrovarla. Nel frattempo la vediamo stesa su una panchina e la vecchia, in abito ottocentesco, le sta succhiando il sangue dal collo. Appena vede che arrivano il servitore, Allan e Gisèle, pian piano si ritira nel bosco. In camera Allan apre il pacchetto: contiene un libro stampato nel MDCCLX, Die Seltsame Geschichte Der Vampyre (La strana storia dei vampiri) di Paul Bonnat. Inizia a leggerlo e così anche lo spettatore capisce che la vecchia è un vampiro che esce di notte, addenta, assetata di sangue, i colli delle vergini. La vittima a sua volta “o tenterà il suicidio o si trasformerà a sua volta in un vampiro (…). Alcuni esseri viventi stringono patti con il demonio per servire questi vampiri sulla terra sino alla dannazione eterna”.

Il paletto infilzato nel cuore

Il servitore, trovato il libro sul tavolo, legge le pagine finali: “Per eleminare un vampiro bisogna infilzare un paletto di ferro nel suo cuore mentre dorme nella sua cassa, in pieno giorno”. Il servitore, in una giornata di sole, munito di paletto di ferro, va nel piccolo cimitero. Scoperchia la tomba e apre la cassa di una certa Marguerite Chopin, contessa, morta senza pentimento. È la vecchia che lo spettatore conosce. Allan, ripresosi dall’incubo, assiste sollevato al colpo con cui il servitore trafigge la vampira. La sua sagoma di carne si trasforma subito in uno scheletro. Taglio. Léone si rizza sorridente sul letto e dice alla suora, che accanto a lei sta recitando il rosario: “Sono guarita, ho di nuove le forze!”. Nella scena finale Allan passeggia con Gisèle, mano nella mano, nel bosco dopo averla liberata nel mulino dove il dottore l’aveva imprigionata, come prossimo sangue fresco per la vampira. Il dottore, servo della vampira, colui che le procurava le ragazze, viene invece chiuso dal servitore nella gabbia della farina, nel mulino, e sepolto dalla farina non appena il servitore avvia le ruote dentate della macina.

La famosa soggettiva del “morto”

Dreyer, dopo aver introdotto soluzioni registiche e di montaggio innovative in Il processo di Giovanna d’Arco (1928), con Vampyr porta il linguaggio ancor più verso una esplosione virtuosistica. Panoramiche di 360° (quelle all’interno della cantina), ripetuti sfocamenti, riprese a mano a seguire i personaggi, sino alla soggettiva di Allan da dentro la bara. Nella scena surreale, quella appunto in cui Allan muore e viene “incassato” (probabilmente è una rielaborazione onirica del libro che sta leggendo), egli ha gli occhi spalancati. Il coperchio della cassa presenta una finestrella che consente al “morto” di vedere fuori, mentre viene trasportato per il funerale. Allan “vede” il suo funerale: gli alberi, le nubi in cielo, le guglie del castello, i campanili. Dreyer affida tutto a un contre-plongée carrellato.

Lettura “politica” di Vampyr 

Apparve strano che nel 1932, con l’Europa in pieno boom economico, con la catastrofe della Grande Guerra “dimenticata”, il jazz che impazzava in tutto l’Occidente, le capitali europee traboccanti di automobili, Dreyer scegliesse un tema cupo che parlasse di morte, da espressionismo tedesco anni Venti. Il tema medievale dovette intrigare i produttori poiché voleva esser, nelle intenzioni, una sorta di sequel del fortunato Nosferatu di F.W. Murnau, di dieci anni prima. Ma Vampyr, uscito a Berlino il 6 maggio, fu un clamoroso insuccesso al botteghino e sbeffeggiato dalla critica. Il linguaggio troppo sperimentale e la voluta con-fusione tra realtà e fantasia (Allan vive tutto ciò oppure sono sue proiezioni mentali?) non giovarono al racconto che dovette apparire illogico al pubblico medio.

Forse Dreyer ci parlava, politicamente, tra le righe. Attenzione, il mostro si nasconde dentro di noi, tra di noi, pronto a risorgere in ogni momento. Per uccidere, per succhiare il sangue degli innocenti. Alludeva anche ai dittatori degli anni Trenta? E, oggi, abbiamo dittatori-vampiri che succhiano il sangue dei bambini?

(Foto: locandina del film)



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