Sono pronto a scommettere che nei prossimi giorni una buona parte della stampa italiana utilizzerà il suo viaggio negli Stati Uniti per definire così il presidente del Consiglio. Ma ci sono alcuni incontrovertibili dati di fatto. Il corsivo di Marco Mayer
Sono pronto a scommettere che nei prossimi giorni una buona parte della stampa italiana utilizzerà il suo viaggio negli Stati Uniti per accreditare l’immagine del presidente del Consiglio Mario Draghi il “falco” da contrapporre a tre presunte “colombe”, ovvero il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il segretario del Partito democratico Enrico Letta.
Per prevenire (o almeno contrastare) questa probabile bufala mediatica ricordo alcuni incontrovertibili dati di fatto. Nel discorso pronunciato da Draghi al Parlamento Europeo non c’è la minima traccia di sudditanza agli Stati Uniti. Draghi ha espresso una visione politica molto limpida sul futuro dell’Europa fondato sulla sua autonomia strategica in campo tecnologico, militare, energetico e della politica sociale. Per Draghi un’Europa politicamente autonoma non è stata sinora possibile perché con il diritto di veto anche il più piccolo Paese ha potuto bloccare decisioni di valore strategico.
Per la Cina, per la Russia o per altre potenze rivali sinora è stato ed è sufficiente influenzare uno Stato membro come proprio cavallo di Troia per bloccare l’azione di 27 nazioni. L’esempio di questi giorni è l’Ungheria di Viktor Orbán. L’ex pupillo di George Soros alza continuamente l’asticella per bloccare il sesto pacchetto di sanzioni europee, mentre i missili russi continuano a colpire Odessa e a uccidere civili in tante altre località dell’Ucraina. Il progetto di una vera Europa politica (non più prigioniera dell’unanimità) disegnato da Draghi è condivisa da Macron, Scholz e altri esponenti politici europei di primo piano.
A proposito di “falchi”, ricordo che coloro che polemizzano con Draghi sono gli stessi che ieri hanno criticato la Germania per l’aumento consistente delle spese militari come contributo alla costruzione alla difesa europea.
In Italia l’alto profilo politico del discorso di Draghi al Parlamento europeo è stato sottovalutato dalla maggioranza dei commentatori politici, per non parlare dei talk show. Tra i tanti silenzi mi ha colpito la scarsa attenzione di una personalità acuta come Guido Crosetto. Forse non ha ascoltato la versione integrale del discorso di Draghi. Se così fosse, gli suggerisco di farlo. Sarebbe interessante sapere se condivide la visione di una nuova Europa disegnata da Draghi. Tra i leader politici Enrico Letta si è dichiarato d’accordo, mentre Giorgia Meloni contraria. In questo modo – a mio avviso – la leader di Fratelli d’Italia e dei conservatori europei è entrata in contraddizione con sé stessa. Come si può invocare una Europa diversa (capace di farsi ascoltare nel mondo) e contemporaneamente conservare la regola ferrea dell’unanimità che azzoppa la politica europea a ogni piè sospinto?
Forse non a caso (per la loro storia passata) né Matteo Salvini né a Giuseppe Conte, leader rispettivamente di Lega e Movimento 5 stelle, hanno voluto sbilanciarsi commentando la nuova visione europeista lanciata da Draghi.
Ieri Draghi ha portato dunque alla Casa Bianca un progetto innovativo che interpreta le ragioni dell’Europa unita, le preoccupazioni dei cittadini europei, i valori dei padri fondatori. Sulla stessa scia di Draghi si colloca la proposta di Macron, una comunità politica europea dei Paesi democratici. L’idea è semplice: creare subito un nuovo format che allarghi i summit dei 27 Stati membri ad altri Paesi come Regno Unito, Albania, Ucraina, Serbia, Moldavia, Macedonia, Georgia, Bosnia, Montenegro e Kosovo.
Mentre procedono i processi di adesione all’Unione europea Macron ritiene che la crisi mondiale (innescata da pandemia, guerra di Vladimir Putin in Ucraina e lockdown cinesi) richieda la creazione immediata di un nuovo forum europeo di carattere democratico e straordinario.
L’idea di Macron è buona e non fa certo piacere a Putin. Qualora il progetto di Macron dovesse concretizzarsi sarebbe una reazione storica di una quarantina di paesi europei al regime autocratico incarnato da Putin. Un paradosso se si pensa che con il suo Valdai Club ridicolizza da 20 anni il valore delle libertà civili e della democrazia politica, un’assurda forma di negazionismo delle conquiste di libertà prodotte da quattro grandi rivoluzioni di portata storica (Regno Unito, Francia, Stati Uniti e India).
Ancora più assurdo sarebbe (ma proprio per questo probabilmente accadrà) leggere l’idea di Macron in chiave antiamericana. La comunità politica europea suggerita dal presidente francese è infatti la traduzione concreta per il nostro continente del coordinamento globale dei Paesi democratici ideato dal presidente Joe Biden a livello globale. Sembrano passati secoli, ma sono meno di tre anni dal famoso tweet di Donald Trump a “Giuseppi”.
Nell’agosto del 2019 l’allora presidente statunitense chiese all’Italia di indagare (con canali insoliti, né gli abituali scambi dei servizi collegati né la cooperazione giudiziaria) se funzionari statunitensi operanti in Italia avessero complottato contro il presidente e la Casa Bianca nell’ambito del Russiagate. Inutile infierire su questa infelice vicenda, ma ripensandoci colpisce quanto il clima politico sia cambiato in così poco tempo.
Ieri l’Italia si è presentata a Washington con grande autorevolezza. Appena arrivato nello Studio ovale alla Casa Bianca, Draghi ha espresso a Biden il forte desiderio del popolo italiano e dei cittadini europei che si compia ogni sforzo per ottenere il cessate fuoco in Ucraina e per avviare un negoziato di pace dopo l’invasione della Federazione Russa. L’altro aspetto su cui Draghi ha voluto insistere nel suo primo impegno alla Casa Bianca è che Putin non è riuscito né a dividere le due sponde dell’Atlantico né l’Unione europea. L’Europa di oggi si presenta molto più unità di quella di ieri. Il presidente Biden ha definito il processo di integrazione europea come un processo storico straordinario di superamento delle barriere e ha definito l’Unione europea come partner fondamentale degli Stati Uniti, un aspetto per niente scontato anche prima di Trump.
In Italia le difficoltà non mancano, ma la campagna di vaccinazioni, l’attuazione della prima fase del Pnrr, il contributo a definire le sanzioni contro Mosca, la quotidiana concertazione in sede europea tra Roma, Parigi e Berlino per gli aiuti umanitari e militari all’Ucraina dimostrano la vitalità del nostro Paese e il suo contributo fondamentale allo sviluppo delle relazioni euroatlantiche.
Draghi, Macron e Scholz si muovono in sintonia sull’Ucraina e non solo. Per questo nell’esaminare il viaggio americano di Draghi più che inventarsi una fantomatica divisione tra falchi e colombe tra le capitali europee gli analisti dovrebbero invece chiedersi cosa accadrà davvero dall’altra parte dell’oceano. L’interrogativo a cui rispondere è, infatti, un altro: l’amministrazione Biden sarà all’altezza della domanda politica che in questo momento delicatissimo l’Italia e l’Europa pongono agli Stati Uniti?
Salvini ha raccomandato a Draghi di intercedere perché Washington moderi i toni nei confronti di Mosca, altri leader prospettano un maggiore coordinamento tra Stati Uniti e Unione europea rispetto ai tentativi negoziali intrapresi dalla Turchia o da Israele. Tutto giusto, dobbiamo intensificare il lavoro sottotraccia ed essere pronti ad agire come gruppo di contatto. Tuttavia, la macchina della disinformazione fa di tutto per depistare l’attenzione dal punto centrale. Le chiavi della diplomazia sono nelle mani di Putin che per ora non vuol sentir parlare né di cessate il fuoco né di tregua umanitaria, né di negoziati.
Purtroppo Putin sta continuando l’aggressione e le conseguenze negative della crisi ucraina pesano in gran parte sulle spalle dell’Europa, e dell’Italia e della Germania in particolare.
Spesso l’Atlantic Council, il Csa e altri think thank americani hanno invitato i loro esponenti più prestigiosi a spiegarci quanto rischiosa fosse la dipendenza (italiana ed europea) dalla Russia e dalla Cina. Nell’ultimo decennio mi è capitato innumerevoli volte di partecipare a incontri a porte chiuse o a porte spalancate.
Gli allarmi americani erano giustificati soprattutto in campo energetico, digitale, della videosorveglianza, delle telecomunicazioni e nel settore mediatico. Ma non è forse giunto il momento di chiedersi cosa gli Stati Uniti hanno fatto e possono fare per noi?
Mentre la Cina e la Russia hanno in mille modi corteggiato il nostro Paese (e altri Paesi europei) dal 2003 gli Stati Uniti sembrano aver perso interesse (amministrazioni Bush, Obama e Trump) per il nostro Paese e per l’Europa in generale. La speranza è che la missione di Draghi a Washington rappresenti finalmente l’occasione di una svolta profonda, una vera inversione di tendenza sul piano culturale, della cooperazione scientifica e di un efficace supporto all’emergenza energetica e la resilienza tecnologica. Se non ora quando?