Al Center for strategic and international studies (Csis) di Washington, il capo di Stato maggiore della Difesa, Giuseppe Cavo Dragone, ha spiegato le priorità e gli sviluppi futuri delle Forze armate italiane. Al centro dell’intervento, la consapevolezza che la deterrenza del futuro sarà tecnologica, e che sarà necessario dotare gli strumenti militari occidentali di soluzioni all’avanguardia che rendano impensabile per gli avversari il ricorso alla guerra convenzionale
L’invasione russa dell’Ucraina è un punto di svolta, al quale bisogna reagire potenziando le capacità di deterrenza per prevenire adeguatamente i conflitti del futuro. Questo è stato il tema centrale dell’intervento del capo di Stato maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, al Center for strategic and international studies (Csis) di Washington. “L’Europa e l’Alleanza Atlantica non possono sperare di tornare al mondo di prima dell’invasione russa”, ha detto, aggiungendo che soprattutto l’Unione europea “dovrà contribuire più efficacemente alla propria difesa, lo Strategic compass avrà bisogno del supporto e della condivisione di tutti i Paesi”.
La sfida della Russia
Per il capo di Stato maggiore, “la guerra dimostra che c’è un chiaro bisogno di integrazione tra le forze Ue e Nato”. Nonostante le capacità militari russe non si siano rivelate all’altezza delle aspettative, infatti, “non dobbiamo sottostimare il nostro vicino orientale”, al quale si aggiungono le capacità dimostrate dalla Cina di “proiettarsi al di fuori dalla sua normale sfera d’azione”. Cruciale diventa, dunque, rafforzare ulteriormente le capacità di deterrenza e cooperazione tra i Paesi dell’Alleanza Atlantica e tra i partner europei, con l’Ue che deve diventare “il pilastro continentale della Nato”. L’ammiraglio è anche intervenuto per quello che riguarda il possibile allargamento a nord dell’Alleanza “L’ingresso di Finlandia e Svezia è una questione politica – ha Cavo Dragone – ma quando ci si trova in quei Paesi, si percepisce moltissimo che la distanza (con la Russia) è davvero molto poca”.
La deterrenza sarà tecnologica
“Quella a cui stiamo assistendo è una guerra ‘vecchia maniera’ per alcuni versi, nella quale vediamo il cyber utilizzato per modificare il campo di battaglia accanto all’artiglieria e ai carri” ha spiegato ancora l’ammiraglio, aggiungendo che per l’Occidente la sfida è ora riorganizzare le forze per essere pronti. “La deterrenza del futuro sta cambiando, da quella nucleare del passato a quella tecnologica del futuro”, e per questo, “dovremo essere in grado di produrre e usare sistemi tecnologici avanzati che possano rendere impensabile ricorrere alla guerra convenzionale”.
Una difesa multi-dominio
Lo strumento militare del futuro sarà, soprattutto, multi-dominio, capace di manovrare e combattere efficacemente per terra, mare, aria, spazio e cyber-spazio contemporaneamente. “Dobbiamo accelerare il processo di adozione di una nuova postura militare, con una nuova dottrina, e cambiare il modo in cui pensiamo e ci addestriamo” ha detto ancora Cavo Dragone, che ha anche aggiunto come l’elemento umano sarà fondamentale: “Abbiamo visto cosa è accaduto alle forze russe, dotate di tecnologie all’avanguardia ma prive di personale sufficientemente formato”.
Bisogna ridurre la frammentazione europea
Oltre all’integrazione tra forze armate, però, sarà indispensabile una maggiore integrazione a livello europeo: “La difesa del continente non può più essere frammentata, le piattaforme di prossima generazione devono essere sviluppate e prodotte insieme”, ha sottolineato il capo di Stato maggiore, ricordando come al momento in Europa ci siano 130 sistemi d’arma diversi, “molti dei quali fanno la stesa cosa, dobbiamo ridurli”. L’obiettivo è quello di arrivare ad avere procedure, sistemi e programmi in comune, “un linguaggio unico che permette l’interoperabilità tra le diverse forze armate”.
Servono sinergie industriali
Questo vale anche e soprattutto per l’industria, che necessariamente dovrà operare congiuntamente a livello europeo e globale per affrontare le sfide tecnologiche del futuro. L’ammiraglio ha ricordato il caso dell’F-35, “un’acquisizione ben bilanciata che ha permesso alle Forze armate italiane di muoversi adeguatamente negli scenari operativi”. Per il futuro, il capo di Smd ha indicato alcuni progetti-chiave a cui la Difesa italiana guarda con interesse, dal drone europeo Male, al carro armato di nuova generazione Mgsc. Inoltre, “l’Esercito italiano è molto interessato ad esplorare le potenzialità dei futuri programmi elicotteristici multinazionali, come l’Ngrc, con Francia, Germania, Grecia e Regno Unito, e vediamo anche un grande potenziale nel Future vertical lift (Fvl), che genera un interesse molto elevato”, ha illustrato ancora Cavo Dragone.
Il caccia di sesta generazione
Attenzione è stata rivolta anche al progetto del caccia di sesta generazione Tempest: “Dobbiamo avere un sistema aereo di quinta generazione capace di comunicare e scambiare dati velocemente con le navi e le truppe sul campo”, ha spiegato il capo di Stato maggiore, soffermandosi anche sulla presenza del progetto alternativo Fcas: “È una duplicazione che bisogna aggiustare”. Il sistema è indispensabile proprio per raggiungere quella interoperabilità multi-dominio che rappresenta lo scenario militare del futuro. “Ci sarà bisogno di connettività, di parlare la stessa lingua tra sistemi (e Paesi) diversi, un flusso veloce e costante di informazioni”.
L’importanza del Mediterraneo
L’ammiraglio italiano, però, ha anche sottolineato la necessità di non perdere di vista il fronte sud “un’area pericolosa come sempre, le cui instabilità avranno impatti su tutto lo spazio euro-atlantico”. In particolare, ha ricordato Cavo Dragone, la regione mediterranea acquisirà sempre maggiore importanza dal punto di vista energetico, ora che l’Europa dovrà trovare nuove fonti di approvvigionamento alternative a quelle russe. “Abbiamo sofferto di ‘sea-blindness’, ma dobbiamo capire quanto siamo dipendenti dal mare”. E questo è soprattutto vero per l’Italia, con il 95% dei materiali necessari alla produzione nazionale che arrivano via nave, così come le minacce. “Quando affrontiamo i problemi nel Mediterraneo è già tardi, dobbiamo intervenire nei luoghi dove nascono, spendendo di più e meglio per rafforzare la sicurezza e l’economia di quei Paesi”, aggiungendo che ci sono ancora Paesi europei che dimostrano atteggiamenti coloniali: “Dobbiamo cambiare completamente la nostra attitudine”.