L’ex vice segretario del Partito Socialista italiano sembra voler dare un’anima ai pacifisti, indicando un percorso che non vuole dividere, ma unire, e leggere in termini europei una visione che a Riccardo Cristiano sembra in sintonia con quella di Francesco, e cioè di un campo per la pace ma non ideologico
In un’intervista rilasciata a Il Riformista l’ex vice segretario del Partito Socialista Italiano, Claudio Signorile, lancia un sasso importante nello stagno di un dibattito tanto acceso quanto grigio tra bellicisti e pacifisti. Un dibattito che non sa come diventare processo politico per risolvere un problema angustiante come la guerra in Europa.
Da sempre attento al mondo delle fedi, da indiscusso studioso di Baruch Spinoza (non da tardivo estimatore di questo o quel popolo “cattolico”), Signorile sembra voler soprattutto dare un’anima ai pacifisti, indicando un percorso che non vuole dividere, ma unire, e leggere in termini europei una visione che a me sembra in sintonia con quella di Francesco, e cioè di un campo per la pace ma non ideologico.
Il suo ragionamento parte dalla scelta di campo per l’Ucraina. Non come cappello per poi dire tutt’altro, ma come presa d’atto del fatto che Kiev segue Budapest e Praga: “Non sono cambiati”. Dunque non siamo nel campo dei russofili, ma non siamo certo nel campo dei bellicisti. Il capitolo Nato nell’intervista non viene toccato, ma emerge quello che è rimasto nell’ombra per ogni posizione interventista, e cioè l’Europa come soggetto politico. Ecco il punto, una proposta che Signorile presenta come iniziativa forte e senza armi: possibile? Vediamo “Nel momento in cui l’Ucraina fa una domanda di adesione all’Unione Europea e l’Ue accetta, sia pure in fase iniziale, questa adesione, l’Ucraina è in Europa e l’Europa è in Ucraina. […] Al tavolo delle trattativa con Mosca con la Russia non ci va l’Ucraina da sola. Ci va l’Unione Europea. […]
È questo il passaggio di qualità che potrebbe anche sciogliere un nodo. Perché finché la trattativa è tra uno forte – la Russia- e un debole – l’Ucraina- non ci sarà trattativa ma battaglia sul campo. Ma se la trattativa si apre tra uno forte, non militarmente impegnato, e un altro forte, che è militarmente impegnato, le possibilità del tavolo sono molte di più. E a quel punto è l’Ue a dover chiedere il tavolo negoziale. Perché rappresenta le ragioni dell’Ucraina di oggi e di domani. […] La stragrande maggioranza degli Stati europei potrebbe convergere”.
Evidente poi la sintonia con la visione di Francesco e del Segretario di Stato, cardinale Parolin, quando afferma che non bisogna pensare una nuova Yalta: “La logica di Yalta era il bipolarismo. Una nuova strategia va impostata sul multipolarismo, un passaggio di qualità significativo che se lo capiamo ci consente di uscire da questa strettoia soffocante. […] La Cina può stare dalla parte del multipolarismo competitivo. È una grande potenza strategica, economica, finanziaria. È la protagonista naturale del dialogo di cui stiamo parlando. Ed è la naturale interlocutrice dell’Unione Europea”. L’autogol pericolosissimo e clamoroso dell’arresto del novantenne cardinale Zen – poi per fortuna rilasciato sebbene solo su cauzione- dimostra quanto importante sia la capacità vaticana di tenere i nervi a posto, ma anche quanto questa capacità vada aiutata. I nemici del multipolarismo, gli estremisti, sono ovunque, questo è chiaro.
Dico che trovo una sintonia con il ragionamento di Francesco perché il punto forte del discorso del papa è stato, non a caso, questo: “Voglio andare a Mosca a parlare con Putin”. Francesco sapeva che Putin non avrebbe voluto, e infatti non vuole, ma lo ha detto lo stesso. Se lo dicesse l’Europa non sarebbe raccoglierne il senso? Superare la cultura degli opposti estremismi, è questa la sfida.
L’equivoco che questa impostazione scioglie nel campo pacifista è relativo all’adesione alla Ue dell’Ucraina, che quel mondo ha percepito come un ostacolo perché considerata fatto ostile da Mosca. Certo a Mosca non piace, ma se si vuole la pace e l’esistenza dell’Europa bisognerà anche far capire che aderire all’Europa non vuol dire diventare antirussi, ma a favore di un sistema che non esclude ponti con altre culture e che i popoli, come ai tempi di Budapest e Praga, hanno diritti. E poi non è questo il modo migliore per tenere sotto controllo l’espansionismo della Nato?
Il giudizio su Mario Draghi fa capire che siamo fuori dagli ideologismi oggi prevalenti: “Mario Draghi è un riformista sincero e i suoi riferimenti a Federico Caffè, economista di riferimento per chi viene da questa scuola, parlano da soli”.
Allargare, nell’empatia di fondo con la storia e con i popoli, non le ostilità preconcette. Questa a me appare la sintonia con Francesco di questa visione. Non vedere nelle armi più di un mezzo provvisorio, ma soprattutto cercare di governare i processi con il vero progetto europeo. Infatti quando gli viene chiesto di spiegare in cosa consista il metodo riformista al quale si riferisce Signorile afferma: “È il metodo di governare il cambiamento. E dunque analisi, comprensione, ragionamento, previsione”.