Charles De Foucauld, un testimone straordinario che sconfigge quella trasformazione del comando evangelico all’amore fraterno limitandolo ai proprio correligionari. Come se fuori dalla vera fede ci fosse una falsa umanità che rifiuta il vero Dio. L’analisi di Riccardo Cristiano
Era difficile immaginare che Charles De Foucauld, il fratello universale, sarebbe stato elevato all’onore degli altari mentre la guerra sfida l’idea stessa di fratellanza, come sempre nei confronti armati, ma questa volta dal cuore dell’Europa. Quella di Charles De Foucauld è una delle figure di riferimento di questo pontificato, dell’enciclica Fratelli tutti, della teologia della fratellanza. Forse si spiega anche così che sia stato canonizzato non da solo, ma con molti altri nuovi santi e nuove sante.
Nato a Strasburgo nel 1858, nobile, morì nel 1916 nel deserto del Sahara per mano di alcuni predoni che cercavano dei soldi che non aveva. Da ufficiale di cavalleria a monaco e poi eremita Charles De Foucauld fu un avamposto incredibile di fraternità in terre di imprese coloniali. Parlando di lui ha osservato con la solita accuratezza il teologo Brunetto Salvarani: “ di tutti gli obiettivi che si era dato, egli non ne raggiunse nemmeno uno: avrebbe voluto fondare un ordine religioso, o almeno un istituto di fratelli, ma nonostante ripetuti tentativi e sperimentazioni non ci riuscì.
Rifiutò d’altra parte, inoltre, di diventare ciò che di volta in volta gli veniva richiesto dalla famiglia e dalle occasioni che gli si pararono davanti, dapprima studente modello e poi soldato di carriera, scegliendo di rimanere costantemente ai margini, per consegnarsi alla fine al silenzio, all’ascolto e alla preghiera. Pur abitando nel deserto profondo fianco a fianco con i Tuareg, tradizionalmente musulmani sunniti, non determinò in loro alcuna conversione al Vangelo, fino a trovare la morte, assassinato per futili ragioni, quando ancora era nel pieno della sua maturità intellettuale e spirituale.
Per di più, infine, non lo si può dire un teologo in senso stretto, né un pensatore originale: quando morì, non aveva pubblicato nessuno dei suoi scritti spirituali né i suoi lavori di linguistica. Del resto, fu lui stesso a sceglierlo, sostenendo che le opere di misericordia da realizzarsi da parte dei futuri Piccoli Fratelli di Gesù si dovevano limitare a quelle che Gesù compieva a Nazaret: accogliere gli ospiti e dare loro l’elemosina. La sua è una biografia sicuramente inquieta, quella di un uomo ansioso che non ha mai smesso di cercare: il sale della vita, se stesso, Dio, e alla fine soprattutto, e sopra ogni altra cosa, Gesù”.
Questo tratto cruciale della sua figura ne fa un esempio davvero inquieto per un tempo in cui l’inquietudine sembra lasciare posto alla rabbia. E allora vale la pena rileggere cosa dice Francesco del nuovo Santo nell’enciclica Fratelli tutti: “ In questo spazio di riflessione sulla fraternità universale, mi sono sentito motivato specialmente da San Francesco d’Assisi, e anche da altri fratelli che non sono cattolici: Martin Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi e molti altri. Ma voglio concludere ricordando un’altra persona di profonda fede, la quale, a partire dalla sua intensa esperienza di Dio, ha compiuto un cammino di trasformazione fino a sentirsi fratello di tutti. Mi riferisco al Beato Charles de Foucauld.
Egli andò orientando il suo ideale di una dedizione totale a Dio verso un’identificazione con gli ultimi, abbandonati nel profondo del deserto africano. In quel contesto esprimeva la sua aspirazione a sentire qualunque essere umano come un fratello, e chiedeva a un amico: “Pregate Iddio affinché io sia davvero il fratello di tutte le anime di questo paese”. Voleva essere, in definitiva, «il fratello universale». Ma solo identificandosi con gli ultimi arrivò ad essere fratello di tutti. Che Dio ispiri questo ideale in ognuno di noi”.
C’erano quattrocento chilometri di deserto tra Charles De Foucauld e il successivo prete presente nella regione, la sua casa era pertanto un avamposto di fratellanza, Fraternità, per cristiani, ebrei, musulmani, “idolatri”, senza che per entrarvi si dovesse passare per le forche del giudizio. E non a caso papa Francesco ha cominciato la sua omelia odierna in occasione della canonizzazione parlando del comandamento dell’amore: “amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”.
Non è un caso che sia questa la giornata di canonizzazione di Charles De Foucauld, la giornata in cui si legge questo comando evangelico nel testo sull’ultima cena. Dunque la santità non è una meta impervia, è quotidianità, da vivere nella polvere della quotidianità, tra le pentole della cucina, ha detto Francesco. Indifferenza e autoreferenzialità sono i cancri che possiamo curare solo con l’idea dell’amore fondante perché noi possiamo amare come Dio ha amato noi.
Questo amore di partenza, quello divino, consente il nostro. Questo è il fondamento della teologia della fratellanza di Francesco che trova nella vita straordinaria di Charles De Foucauld un testimone straordinario che sconfigge quella trasformazione del comando evangelico all’amore fraterno limitandolo ai proprio correligionari. Come se fuori dalla vera fede ci fosse una falsa umanità che rifiuta il vero Dio.
Ma questa giornata della fraternità ha cambiato in tutti i fruitori il suo spartito per quel che accade nel mondo e che quando si fissò la data di questo rito di canonizzazione non poteva essere immaginato. Questa fraternità è messa alla prova dai parametri che si scelgono davanti alla guerra: il primo è avere ragione, essere nel giusto, o capire chi sta perdendo tutto, chi ha perso tutto?